Tony Sandoval – Intervista all’Arf! Festival 2025 di Roma
All’Arf! Festival 2025 di Roma abbiamo avuto la possibilità di intervistare Tony Sandoval. Di origini messicane, immigrato negli Stati Uniti ed ora residente in Francia (infatti parla fluentemente tre lingue) Sandoval è stato protagonista della mostra Creature d’ombra e tempesta, permettendoci di ammirare alcune tavole originali e illustrazioni esclusive. L’originalità di Sandoval risiede in uno stile fortemente distintivo, spesso caratterizzato da protagoniste teenager smilze e con gli occhi grandi, calati in contesti dove la magia si incunea nella realtà. Con un tratto delicato che spazia dalla matita all’inchiostro, fino al digitale ed un uso del colore che si muove da colorazioni classiche a dipinti con acquerello, Tony Sandoval racconta storie di cambiamento e trasformazione. Il suo immaginario unisce la potenza del fantasy classico a influenze visive del mondo heavy metal.

Tra le sue varie opere, spiccano in particolar modo quelle come autore completo. Il cadavere e il sofà, Doomboy, Watersnakes, Mille Tempeste, Nocturno sono tutte declinazioni diverse dello stile, della personalità e delle preferenze di Tony Sandoval e sono edite in Italia da Tunué. Con Appuntamento a Phoenix, invece, Sandoval ha avuto la sua riuscitissima incursione nell’autobiografia. Come solo disegnatore si è lanciato nell’ambizioso Volage – di cui abbiamo parlato qui – e nel magnifico La città dei Dragoni, anch’essi editi da Tunué. E per non lasciarsi sfuggire nulla, anche un progetto da solo sceneggiatore per i disegni di Grazia La Padula. Attualmente ha in corso diverse opere, tra cui la continuazione di Futura Nostalgia, sempre edito da Tunué, e le avventure per ora inedite in Italia di Mr. Calcium Skeleton.
In questa intervista abbiamo cercato di indagare tutti gli elementi costituenti della sua poetica, tanto visiva quanto narrativa, rimanendo sorpresi dalla puntualità della risposte e dalla sua affabilità. In una domanda abbiamo anche toccato temi più “seri” e personali, ricevendo non a caso la risposta più lunga di tutte.
Ah già, chi di voi leggerà e basta, senza guardare il video, si perderà un momento che coinvolge un cappuccino (di cui Sandoval è “lover”).

Partiamo con una domanda generale: le tue opere spesso hanno come protagonisti degli adolescenti e raccontano storie in cui la magia in qualche modo invade la realtà. Da dove nasce questa scelta narrativa e perché la trovi così affascinante?
Perché è un’età di trasformazione, è il momento in cui accadono molte cose, e questa trasformazione è così veloce… beh, io la trovo molto rapida, succedono tantissime cose, quindi funziona bene per raccontare storie. In quel periodo succedono molte cose, quindi è facile raccogliere elementi, giocarci e costruire una storia.
Parlando di trasformazione, nelle tue opere ci sono elementi ricorrenti come la pioggia, le nuvole, l’acqua come mezzo di trasformazione. Perché sei così attratto da questa metafora?
Vengo dal deserto, lì l’acqua è piuttosto rara, quindi mi affascina. Le fontane e tutto ciò che avete qui a Roma sono fantastiche, e funzionano! Sono aperte a tutti, no? Sogno anche spesso con l’acqua, tutti i tipi di acqua, soprattutto quella in natura: mare, fiumi, ruscelli. Quindi sì, è un grande elemento per me, anche nella mia vita quotidiana. Sono molto affascinato da essa e mi piace osservarla mentre scorre o cose del genere.
Immagino ti piaccia osservare anche la natura, come foreste o boschi.
Sì, sì, mi interessa molto, ma sai cosa? Mi piace anche osservare le cose piccole, tipo insetti che crescono nell’acqua o che cacciano nell’acqua o cose attorno ad essa. Da bambino passavo ore a osservarli. Ora da adulto, lavorando tutto il tempo, non ho più molto tempo per farlo, ma sì, è un universo molto bello da esplorare e osservare, e magari da tradurre in un’opera grafica.
Immagini dalla mostra di Tony Sandoval, Creature d’ombra e tempesta, all’Arf! Festival 2025
Un’altra cosa: durante tutta la tua carriera hai usato un’ampia gamma di tecniche come pittura, disegno classico, ecc. E nei tuoi lavori spesso combini o alterni diversi stili all’interno della stessa opera. Come hai sviluppato questo linguaggio nel tempo?
Beh, non penso di usare così tante tecniche, diciamo due o tre, tutto qui. Le mescolo a seconda dell’umore o della storia. Se devo raccontare un sogno, o un flashback, o storie parallele, le uso. Ma dipende dallo stato d’animo, se in quel momento mi sento ispirato a usare l’acquerello, lo uso. Ma cerco sempre di farlo in funzione della storia.
Un’altra domanda riguarda il punto di vista narrativo: nelle tue storie spesso lasci alcuni elementi aperti, o alla libera interpretazione del lettore, a volte anche i finali. Perché adotti questo approccio? Cosa ti piace del lasciare spazio all’immaginazione del lettore?
Penso che faccia parte del tuo dizionario, del tuo archivio d’immagini, fa parte delle cose che hai dentro, che hai esplorato, con cui hai giocato, che ti hanno formato. Sono strumenti che usi per raccontare storie. E a volte pensi di avere strumenti solo per la tua storia, ma poi cominci a usarli e succede qualcosa. Quindi sì, è per questo.
Vorrei passare a una domanda più personale, partendo da Meeting at Phoenix [Appuntamento a Phoenix, edito da Tunué] — se non sbaglio è il titolo originale.
Sì, Meeting at Phoenix.
In quell’opera racconti la tua esperienza nel superare il confine con il Messico. Alla luce dell’attuale clima politico negli Stati Uniti e delle politiche odierne in materia, come guardi oggi a quella storia?
Era un momento particolare, sai? Un momento che è molto diverso da quello che succede ora. È una riflessione su tutti gli anni che sono passati. Dico sempre: l’immigrazione non è un problema, è solo uno strumento usato dai politici, un’arma. Sì, qualche immigrato può creare disordine, ma non è la maggioranza.
Parlo da immigrato, è la verità. Anche se non ho bisogno di vivere in Europa per lavorare, potrei tornare in Messico e continuare a lavorare con l’Europa. Ma sì, a un certo punto sono venuto qui a bussare alle porte, cercare lavoro. Non sono mai stato un piantagrane, ma sì, in generale penso che sia uno strumento politico.
Quel confine tra Stati Uniti e Messico è sempre stato un casino, non è una novità. Le questioni migratorie sono sempre esistite. Le grandi ondate di deportazioni sono già successe. Solo che oggi viviamo in un’epoca mediatica, dove vediamo tutto su Internet, ma metà delle informazioni non sono vere, sono esagerate. Solo una piccola parte è reale, il resto è fumo per farti cliccare. È così per ogni tipo di notizia.
Tornando alla domanda: sì, quando l’ho attraversato io era ancora possibile. Ora sono in tanti a cercare di passare, non solo messicani, ma da tutto il mondo, perché è facile volare in Messico o Guatemala e poi provare ad attraversare. Sono affascinato da questo fenomeno migratorio, ho iniziato a studiarlo mentre scrivevo il libro. È molto interessante. Io ho raccontato solo un piccolo frammento, e ti posso dire che tutto quello che ho scritto nel libro è 100% vero. È successo esattamente così, senza esagerazioni. Forse non è la storia più estrema, ma non ho bisogno di dire “avevo un coltello nello stomaco” per raccontarla. È andata così, davvero.
Sì, ho trovato Phoenix una storia bellissima proprio perché non è esagerata. Per me è un punto a favore. Tante autobiografie sono romanzate o cariche, ma Phoenix è molto sincera, secondo me.
Perché è stato un esercizio di memoria. Era una storia di 19 anni fa, e ho dovuto ricordare tutto, non prendevo appunti allora, quindi è stato difficile ricordare i dettagli, cosa è successo prima e dopo. Sì, ho fatto un piccolo lavoro di editing per far capire ai lettori l’ordine degli eventi, ma a parte questo, tutto è vero. La storia delle scarpe è stata un colpo per me. Quelle scarpe erano così puzzolenti che il tizio le ha buttate via. Era una settimana che non avevo calzini, faceva caldo, sudavo, c’era la polvere… ovvio che puzzavano come pesce.
L’ultima vignetta, “e ora è pure peggio” [ridendo].
Oh, sì! Alla fine le ho cambiate, ma non le ho buttate [ridendo]. Le ho messe nel bagagliaio, si sono asciugate col tempo, me le ricordo ancora un anno dopo. Non puzzavano più, le ho lavate e le ho usate di nuovo.
Un’ultima domanda: a me sembra che tu ami la musica metal, anche io la amo [entrambi indossano magliette di due diverse band]. Sono curioso di sapere quanto la musica metal influenzi il tuo lavoro, non solo nei temi, ma anche visivamente, in tutto il tuo immaginario.
Beh, il metal è così figo, no? Ha un’estetica bellissima. Mi piace disegnare queste cose, e le immagini sono forti quanto la musica. Quindi sì, mi influenza totalmente. Mi piace immergermi in quel mondo e ascolto metal mentre disegno, e anche dopo.
