Ci sono autori come Valerio Schiti che sono difficili da presentare, pensando all’incredibile parco titoli a cui hanno lavorato. L’autore romano, che da oltre un decennio lavora in esclusiva per la Marvel, ha iniziato il suo percorso nella casa delle idee con Ghost Rider arrivando a toccare vette sempre più alte, lavorando ad eventi di punta, personaggi iconici e riuscendo persino a creare i suoi personaggi originali insieme a Jonathan Hickman, realizzando G.O.D.S.
L’ultimo lavoro a cui si sta dedicando è Capitan America, insieme allo sceneggiatore canadese Chip Zdarsky. Abbiamo avuto modo di incontrarlo e svolgere una lunga intervista, ospitati gentilmente dalla fumetteria Karma Komix a Roma, prima di un firmacopie in loco che lo avrebbe visto protagonista.
Ringraziamo Valerio Schiti per aver risposto alle domande di XtraCult.

Prima domanda per rompere il ghiaccio. Stai lavorando al momento sull’eroe americano classico, il più conosciuto, Captain America: quindi come ti senti in tal proposito?
Come esperienza anzitutto è molto molto divertente ovviamente. In realtà l’interrogativo ce l’eravamo posto con Chip [Zdarsky, n.d.r.] all’inizio scherzando, però poi neanche troppo: cioè il fatto di toccare un’icona degli Stati Uniti, dell’America, insomma, Captain America appunto. Però lui lo fa dal Canada, dall’Italia io, quindi fondamentalmente due stranieri che si permettono di dire cos’è il sogno americano agli americani, quindi questa cosa è un po’ particolare. Però in realtà, significa che c’è comunque una consapevolezza di affrontare un personaggio iconico, di andare anche ad affrontare dei temi che sono importanti per gli americani, perché poi nell’albo si parla di guerra, si parla di imperialismo, c’è politica, c’è attualità, che è poi il bello di Captain America.
È un personaggio che viene spesso usato proprio per questo motivo, e però lo facciamo tutti e due con un certo affetto, perché poi comunque, siamo due appassionati del personaggio, ci piace tantissimo Steve Rogers, proprio in particolare Steve, più che l’icona, l’uomo dietro la bandiera. E siamo comunque influenzati dagli Stati Uniti, amiamo la cultura statunitense, quindi comunque lo facciamo con un grandissimo affetto e con un grande rispetto. Per adesso la risposta è positiva, sembra che il nostro approccio stia piacendo ai più, ovviamente poi c’è sempre qualcuno scontento. Perà la cosa importante è che, ripeto, noi lo facciamo con veramente tanto affetto nei confronti del personaggio.
Captain America – Our Secret Wars: Chip Zdarsky e Valerio Schiti sull’eroe americano
Posso confermare sul trovare piacevole questo Captain America. In tal proposito, Captain America molto spesso viene utilizzato anche come cartina tornasole di ciò che sta avvenendo negli Stati Uniti. Quanto e come il clima attuale sta influenzando la realizzazione di questo vostro progetto?
Allora, in realtà, il clima attuale sta influenzando il lavoro: non ti dico che è un caso, però quasi. Il fumetto è ovviamente un fumetto metaforico e il personaggio è un personaggio, quindi serve come cartina di tornasole, un esempio perfetto di ciò che c’è di più puro, un po’ come Superman alla DC più o meno incarna questo tipo di caratteristiche, ovvero cosa sia l’America, come viene vista l’America, come dovrebbe essere vista l’America. Questo è Captain America, quindi il sogno americano, la purezza, la giustizia, il forte difende il debole, tutte queste cose tipiche, “I can do this all day” [citazione divenuta famosa dai film del MCU, n.d.r.], contro i bulli, e via dicendo, quindi è naturale che in una situazione come quella attuale, il personaggio, anche involontariamente, diventa uno specchio di quello che succede.
E nel fumetto che noi abbiamo fatto questa cosa è ancora più evidente, perché ci sono altri personaggi, che non posso rivelare perché so che in Italia ancora non è uscito, c’è uno specchio di Captain America. Abbiamo trovato il modo di raccontare anche com’è diventata nel frattempo l’America, come è cambiata, come la società, come gli eventi storici che sono successi negli ultimi 25-30 anni hanno fondamentalmente alterato il modo in cui l’America è percepita, soprattutto dall’estero e qual è stato il ruolo all’estero dell’America dopo la seconda guerra mondiale. Non dò anticipazioni dicendo che la storia che noi raccontiamo è ambientata subito dopo lo scongelamento di Captain America, quindi è interessante vedere come l’icona della seconda guerra mondiale reagisce al mondo che si trova davanti una volta svegliato, com’è cambiato, cos’è successo, e ancora una volta non lo facciamo col ditino alzato, giudicando, puntando il dito dicendo “che schifo l’America di oggi”, c’è comunque un fondo di comprensione, di affetto, anche vicinanza, in un certo senso, nei confronti di alcuni eventi, soprattutto eventi storici che sono successi. Purtroppo non posso darvi vostri spoiler, quindi ho dovuto usare grossi giri di parole, però poi leggendo capirete.

Continuando a non fare spoiler, sappiamo che comunque hai dovuto rimaneggiare quantomeno il design di Captain America. Considerando anche che tu hai già lavorato su di lui, non come testata, ma come personaggio con Judgment Day e con il Gala Infernale, qual è stato quindi il tuo lavoro alle spalle della creazione del nuovo character design?
Un po’ ho rimaneggiato anche il classico. Innanzitutto, a me è una cosa che piace tantissimo, il fatto di fare i design dei personaggi, di studiare i costumi, lo facevo da prima, da quando ero ragazzino, facevo le versioni alternative dei costumi dei supereroi, quando ero ancora lettore. È una cosa mia, e quindi adesso che lo posso fare alla professionista, sono contentissimo. Quindi, ho un po’ ritoccato il costume classico, più che altro per renderlo canonico in un certo senso, questo è il vero costume di Captain America classico, quindi ho studiato un po’ i dettagli, come si allacciano i guanti, come sono fatti gli stivali, proprio nel dettaglio, però ribadisco quello è il classico. In più c’è stata la possibilità di fare un costume nuovo, che sarebbe l’uniforme stealth di Captain America. Con la scusa che l’uniforme era stealth, che quindi doveva essere un uniforme per missioni segrete e quant’altro, sono andato a studiare più o meno i colori della bandiera americana, cosa simboleggiano, e sono andato a sottrarre alcuni elementi che invece sono molto evidenti nel costume classico di Captain America, per cui se ci fate caso, e molti l’hanno anche detto, “però è molto bello questo costume, ma manca il bianco”, è voluto.
Primo, perché è stealth e quindi è razionale questa cosa, se tu sei in una missione di spionaggio e non ti vuoi far vedere, non vai in giro che sei bianco. Ma poi il bianco simboleggia la purezza, la giustizia nei colori della bandiera americana, per cui il fatto di sottrarlo, al momento in cui Captain America esce dal ghiaccio e viene usato per una missione segreta di cui non conosciamo bene i contorni, in cui lui si trova fuori luogo, non si sente a suo agio, era giusto che il costume anche riflettesse questo, un costume tra virgolette sbagliato, un costume che non è proprio il costume di Captain America. E quindi quella era l’intenzione, fare qualcosa che fosse allo stesso tempo giusto, ma anche molto sbagliato, qualcosa che rendesse anche visivamente questo discomfort di Steve Rogers nella nostra realtà.
Collegandomi a quello che hai detto, ovvero è stata una tua idea il tipo di costume, volevo chiederti, visto che comunque lavori ormai da più di un decennio nell’industria: ti è mai capitato da disegnatore di essere tu a proporre delle idee per cambiare la sceneggiatura o comunque portare avanti la storia all’interno delle serie a cui hai lavorato?
Allora, in realtà per la sceneggiatura no, perché io non mi sento molto autore, molto scrittore, quindi è anche molto improbabile che un domani (e adesso verrò smentito magari dei fatti), ma dicevo è molto improbabile che un domani me ne esca con la mia graphic novel scritta da me. Non ce l’ho proprio, conosco i miei limiti, la cosa che dico spesso è che io sono come un’arma, un fucile, vengo puntato e poi quando sparo sono perfetto, però serve qualcuno che prema il grilletto, in un certo senso, per quello mi trovo molto bene a lavorare con uno sceneggiatore, perché tendenzialmente io mi fido di chi scrive e difficilmente propongo alternative per quanto riguarda la storia. Può capitare che io proponga delle alternative all’interno della pagina, quello sì, quindi su come è composta la pagina, su quante vignette ci sono, per esempio se c’è da togliere ad aggiungere una vignetta, se l’inquadratura come è suggerita nella sceneggiatura non mi piace magari propongo. Io comunque faccio sempre vedere prima i miei layout, le matite agli editor e allo sceneggiatore prima di passare al definitivo alla china, quindi in quella fase lì si può ancora discutere.
Io posso dire “vedi, io qui ho cambiato la cosa perché pensavo che funzionasse meglio così”, quindi quello sì, piccole modifiche all’interno di una storia già definita sì, indicazioni su come si deve evolvere la storia no, posso aver fatto però delle considerazioni, aver implementato cose che già erano presenti nella storia. Per esempio il discorso che ho fatto con il costume, quella è una mia trovata e anche su G.O.D.S., per esempio con Jonathan Hickman c’erano state molte aggiunte che io ho fatto ad alcune cose, soprattutto visive, ma anche un po’ vagamente di trama all’interno della storia, però ripeto non dà indicazioni su dove deve andare a parare o su come si deve evolvere la storia, sono piccole cose relative alla pagina, al design o cose del genere, quello sì.
A proposito proprio dei tuoi layout e del modo in cui lavori, qual è la tua tecnica lavorativa? Lavori ancora in digitale, lavori con la carta: qual è il processo passo per passo che ti porta fino alla fine alla creazione del fumetto con un cliente così lontano come l’America?
La tecnica lavorativa col tempo si è un po’ modificata, è diventata chiaramente sempre più asciutta, sempre più veloce, perché acquisendo confidenza mi sono potuto permettere di saltare alcuni passaggi. Adesso, oggi, quello che io faccio è, ovviamente, prima leggere la sceneggiatura, appuntarmi tutte le note che mi vengono in mente man mano che la leggo; poi dialogo con lo sceneggiatore, editor, e via, per capire i dubbi, per avere anche, che ne so, le reference. Perché poi una cosa che alcuni lettori magari non pensano, ma che poi quando lo fai per lavoro succede, è che io non so tutti i costumi dei personaggi Marvel [qui l’autore si prende un momento per ridere, n.d.r.]. Nel senso che magari compaiono dei personaggi, delle cose, quindi non possiamo essere aggiornati su tutto, quindi magari chiedi aiuto all’editor, che poi il lavoro dell’editor è anche questo, di assistenza al disegnatore.
Io cerco anche poi, per conto mio, reference per quanto riguarda gli ambienti, le location, i costumi dei personaggi secondari, mi faccio tutto un archivio di cose, perché piano piano cresce mano mano che rimango su una serie, perché poi mi piace lavorare anche molto sugli sfondi, sulle architetture, quindi mi metto lì, ci perdo un sacco di tempo su queste cose, mi cerco il mood della storia. E quella è tutta la parte preliminare, che però deve essere molto rapida, perché i tempi di realizzazione di un albo sono poco più di 40 giorni, considerate, su un albo che esce ogni 30, quindi proprio deve essere rapidissima. Dopodiché faccio layout, quelli che io chiamo layout, ma di fatto sono la bozza della pagina, la squadratura, l’impostazione della tavola e altro, poi le matite, che però è tutto in digitale, sullo stesso file. Non so a chi sarà pratico, però sullo stesso file c’è già una prima bozza scarabocchiata della pagina, poi c’è le reference, poi c’è il disegno con la matita digitale.
Ovviamente poi mando agli editor e allo sceneggiatore, in questo caso Chip, che controllano tutto con la sceneggiatura alla mano, Chip la sa, l’editor la controlla e vedono se va tutto bene, se ho dimenticato qualcosa, se c’è qualcosa di molto importante, “guarda, io però ci tenevo che in quella vignetta si vedesse bene la pistola, perché poi dopo torna, eccetera”, quindi si fanno le modifiche del caso e poi ricalco tutto quanto. Le matite adesso sono diventate molto grezze, quindi è più che ricalcare, quasi disegno pure un po’ a china e tutto questo è un processo che prende 42-43 giorni in totale, infatti anche in Captain America a un certo punto ci sarà un fill in che serve. Siccome man mano che l’albo esce ogni 30 giorni, io ce ne metto 40, mi avvicino quindi alla data di pubblicazione dell’albo fondamentalmente, quando sono a ridosso arriva un fill in, cioè un altro team di autori, di disegnatori, che fa in questo caso 4 numeri, che mi ridanno il vantaggio necessario per ripartire, nel mio caso, col numero 10, a cui sto già lavorando. Io ho finito il 5 e sono saltato al 10 dal giorno dopo, però sapendo che il 10 è una deadline più avanzata, perché Neto Diaz e Frank Alpizar [il team del fill in, n.d.r.] avevano il lavoro dal capitolo 6 al 9 e quindi questa cosa mi dà la possibilità di ripartire e di avere di nuovo i 42-43 giorni necessari per completare l’albo.
Questa risposta è un promemoria per le persone che pensano che disegnare sia un lavoro da poco. Comunque, a proposito del tuo rapporto con gli sceneggiatori, tornando su un tuo lavoro storico, hai lavorato nel 2011 con Brian Michael Bendis sui Guardiani della Galassia. In passato hai lavorato più volte con Jonathan Hickman, recentemente hai lavorato con Kieron Gillen in Judgment Day e adesso stai lavorando con Chip Zdarsky in Captain America. Ci sono delle differenze nel processo lavorativo in base allo sceneggiatore con il quale hai lavorato?
Tantissime, ogni lavoro, ogni sceneggiatore è una vita nuova, perché chiaramente ognuno ha il suo metodo lavorativo, ognuno è una persona diversa, ognuno ha un approccio differente, per cui ti posso dire che Hickman è un po’ come le storie di Hickman, è super asettico, scrive pochissimo, ci parli una volta a settimana se va bene, ti scrive solo se qualcosa va male, quindi silenzio assenso, perché poi è super impegnato. Però è super collaborativo, ha delle idee fantastiche, ogni tanto ti butta lì una cosa e ti fa venire un’idea ancora migliore. Chip è professionista fenomenale, mai in ritardo, anzi sempre molto in anticipo con le sceneggiature, che è una cosa fantastica per un disegnatore e anche più unica che rara. È poi lo sceneggiatore talentoso che tutti conoscono, ha scritto storie fantastiche per Batman, per Daredevil ovviamente, Spider-Man: la storia della mia vita, tantissime cose stupende, ed è una persona con una grande sensibilità ed è oltretutto un disegnatore. Per cui c’è anche la possibilità di dialogare con una persona che capisce quello che stai facendo veramente perché l’ha fatto, che magari ti fa uno sketch per farti capire meglio quello che è in mente lui, perché magari a parole non gli è venuto bene se te lo disegna.
Per dire, c’è un personaggio qui [intende la run di Captain America su cui stanno lavorando, n.d.r.] che ha un look particolare, che non dirò chi è, però il là l’ha dato Chip con uno sketch e poi io l’ho fatto il design definitivo di questo personaggio. Quindi insomma c’è un rapporto anche tra colleghi disegnatori con lui. Con Kieron Gillen ci siamo trovati paradossalmente in un periodo simile alla nostra vita perché a me era da poco nato mio figlio e a lui era da poco nata sua figlia, quindi ci scrivevamo pure “oddio ma tu hai dormito stanotte?”“Io no, il mio non dorme”. Una situazione del genere che non avrei mai immaginato, quindi noi avevamo due figli, uno era l’evento A.X.E. e l’altro [Avengers/X-Men/Eternals, n.d.r.] erano i figli di entrambi. Infatti per quello abbiamo sviluppato un personaggio con una mamma che sta all’interno dell’evento, per quel motivo lì. Poi ci scambiavamo le canzoni perché lui faceva le playlist della serie, lo ha fatto su Spotify, c’è una playlist che dovrebbe essere ascoltata leggendo Judgment Day, ed io avevo suggerito alcuni brani.
Poi questa cosa mi è rimasta per cui ho fatto la playlist per G.O.D.S. Quindi, tornando al punto, ogni disegnatore, ogni sceneggiatore è un mondo diverso, se lo conosci sai cosa ti aspetta se ci già lavorato. Per esempio Kathryn Immonen, una persona deliziosa, mi ha insegnato un sacco di cose, mi ha preso da giovane, io ero appena entrato in Marvel, non sapevo niente fondamentalmente come funzionasse qualsiasi cosa, quindi lei ha detto: “ok va bene allora ti spiego l’approccio ai fumetti americani”. Ogni volta che facevo una cavolata diceva: “guarda Valerio, questa cosa però è meglio di no”. Quindi veramente persone diverse però per motivi diversi mi sono sempre quasi trovato bene con tutti e ognuno era un mondo a parte, fantastico.
Hai lavorato a molte serie differenti, ad esempio ora su Captain America stai lavorando ad una serie che si potrebbe definire “Grounded”, in parte una spy story ma anche un action duro e puro per certi versi; in passato hai lavorato su G.O.D.S. che invece è una serie magica, cosmica, in Guardiani della Galassia siamo in un action ma ambientato nello spazio, hai lavorato i primi sei capitoli di S.W.O.R.D. dove per l’appunto si tratta di nuovo di una storia spaziale, politica ma anche magica per via dei poteri dei mutanti. Di conseguenza la mia domanda è: come gestisci con il tuo stile la differenza di tono di ogni storia per quel che riguarda la gestione delle inquadrature, dell’azione, dei dialoghi e di tutto quello che comporta la componente grafica?
Allora, io come un po’ tutti i disegnatori chiaramente ho delle cose che sono più nelle mie corde e delle cose che sono meno nelle mie corde, per esempio secondo me non sarei forse un grande disegnatore horror per esempio, anche se poi qualche tinta di G.O.D.S. o qualche momento sfocia un po’ nel thriller horror. All’inizio io me la ponevo questa domanda, soprattutto perché io ho iniziato in Marvel con Ghost Rider, però la prima cosa lunga che ho fatto è stato Journey into Mystery e lì tutto sommato c’era, chiamiamolo il fantasy declinato alla Marvel però, e era una storia comunque molto leggera, c’era dell’umorismo, io mi ci trovavo e trovo bene, c’erano elementi che poi tornavano pure nei Guardiani della Galassia e più avanti. Poi a un certo punto mi spostarono su New Avengers con Hickman, e quella è una storia drammaticissima, io lì ho avuto dei giorni, come dici tu, in cui mi sono chiesto, “ma io ce la faccio a fare una cosa drammatica?” “Sono in grado di modificare il disegno, il tono, le inquadrature, la regia, la recitazione dei personaggi, per trasmettere quello che questa sceneggiatura comunque a me mi ha trasmesso?”
Perchè io l’ho letto [intende ovviamente gli Avengers di Jonathan Hickman, una storia effettivamente molto cupa, n.d.r.] ed ero shockato. Ed ho scoperto che più o meno per me il trucco è lasciarmi un po’ andare, se quella cosa mi è arrivata, se leggendo la sceneggiatura io quell’emozione l’ho sentita, quindi che la storia sia drammatica, che la storia sia politica, che sia grounded, che sia di fantascienza. E quindi se c’è un elemento che mi ha entusiasmato, e spesso capita, perché poi molti sceneggiatori con cui ho lavorato sono bravissimi e quindi anche già quando leggi la sceneggiatura ti entusiasmi, la cosa che ho capito io è sfruttare quello slancio in un certo senso, cioè quell’emozione che senti quando leggi la sceneggiatura e cercare poi di trasmettere nella pagina quello stesso entusiasmo. Perché poi alla fine è un lavoro divertente, quella poi è la cosa bella di questo lavoro, se uno asseconda la parte un po’ infantile che abbiamo, quell’entusiasmo che uno prova quando vedi un bel film, quando una storia ti prende, quell’emozione che c’è nel momento in cui il protagonista è minacciato dalla morte, però poi se la cava all’ultimo.
Se uno sfrutta quelle sensazioni di divertimento, che poi ragionando io riporto al passato, sono un po’ vecchio, quindi sulle sensazioni che sentivo da bambino quando vedevo i Goonies, Indiana Jones, quel senso di piacere per l’avventura o per il dramma o per quello che sia. Se uno riesce a canalizzare quelle emozioni nella pagina poi alla fine viene, anche se i generi cambiano, se il tono cambia e quindi trovare qual è la chiave in ogni storia che riesca un po’ a scatenare quell’entusiasmo, che faccia un po’ divertire quel ragazzino che abbiamo dentro noi disegnatori.
S.W.O.R.D.: L’ultima frontiera – lo spazio nelle mani dei mutanti
Vorrei tornare su G.O.D.S., visto che l’abbiamo nominato diverse volte, e parlare proprio di quello che hai detto che ti piace maggiormente fare, ovvero la creazione dei design. In G.O.D.S., che per chi sta vedendo questa intervista è l’ultima opera al momento pubblicata in Italia di Valerio in quanto cartonato, che raccoglie gli otto numeri della serie da te realizzati, sono introdotti dei nuovi personaggi, dei nuovi pantheon di divinità e le divinità precedentemente presenti nel mondo Marvel sono state da te ricreate, ridisegnate. Quindi, qual è stato il tuo lavoro alle spalle, in primo luogo della creazione del protagonista che è Gwyn, o comunque dei personaggi o delle divinità che maggiormente ti hanno segnato nel corso di quel lavoro?
Allora, io sono tantissimo legato a G.O.D.S. perché è la cosa più vicina forse a un fumetto, diciamo un creator owned, un fumetto proprio mio che io abbia mai fatto, perché appunto partiva dal numero uno, i personaggi erano tutti nuovi, quindi sebbene inserito nel canone Marvel, comunque dai protagonisti ai personaggi secondari era tutto da definire, tutto da fare. Quindi questa cosa è stata uno sforzo, una fatica immensa, però allo stesso tempo una grandissima soddisfazione ed è la cosa che fa sì che quel fumetto sia proprio mio. Capitano America è di tutti, nel senso un personaggio che esiste da decenni prima che io nascessi, Wyn [il protagonista di G.O.D.S., n.d.r.] l’ho fatto io, quindi è proprio una cosa mia.
In più l’ho fatto con delle indicazioni di Hickman complicatissime, indicazioni quali “allora guarda, sì è un personaggio, è un mago, però non ha un costume, è vestito normale, lui potrebbe entrare in un locale e prendersi da bere… però allo stesso tempo si deve capire che è una persona particolare, che è un mago”. Quindi ok, allora è strano, non è strano, spero di essere riuscito in qualche modo a rendere questa cosa. Però è stato super divertente, tant’è vero che io anzi quasi mi ci sono chiuso, è diventata una cosa, un’ossessione, io ho pensato a delle cose folli, per esempio i personaggi del Centum, che sono l’ordine quasi paramilitare di difensori della logica, della scienza: sono cento, perché sono cento? Perché sono come i numeri primi, se tu sommi i numeri primi ottieni cento, più lo zero che è il Dottor Circle che è il capo, tutte queste cose le ho fatte io. Quindi c’è un Doctor Circle, tre coi loghi triangolari, poi un tot con quelli quadrati, poi diventano esagonali le fantasie, hanno delle fantasie addosso che cambiano forma geometrica a seconda del ruolo e della gerarchia che hanno all’interno della… tutte cose non richieste, che nessuno ha spiegato, oppure i colori delle divinità sono in realtà gli stessi colori che ricorrono poi nel look del loro avatar, cioè è una cosa enorme.
Mi sono fatto duemila pensieri, duemila speculazioni, ho pubblicato pure poco di queste cose, di tutti questi sketch che ho tirato fuori, delle mille varianti che abbiamo fatto per ogni divinità, in più tra l’altro come dicevi tu le divinità, quindi l’ansia di dover toccare dei personaggi iconici del mondo Marvel, è stato faticoso, però è esaltante a un livello che io non pensavo, è stato veramente divertente e fa sì che poi questo volume sia forse tra tutte le cose che ho fatto quella che sento proprio più mia mia, cioè dove c’è proprio tanto di me dentro, perché ho avuto la possibilità di inventare proprio tantissime cose da zero, a parte il Dottor Strange che comunque compare spesso nella storia, poi il resto era una tabula rasa su cui io potevo costruire un mondo intero, è stato veramente divertente, bello bello!
In tal proposito mi permetto di farti i complimenti non tanto per Wyn, che comunque ha effettivamente le caratteristiche che hai elencato, ma per Il Tribunale Vivente e per Oblio che sono per me bellissimi, Oblio è, ho una passione per quel tipo di creature, quindi ho un bias, però…
No poi Oblio era importante perché all’interno della storia è forse quello insieme a In-Betweener che ha più peso, che fa più cose, compare di più, quindi era importante che fosse, che il design fosse efficace, insomma sono contento che sia arrivato!
Sempre restando su G.O.D.S., visto che stai proprio sottolineando quanto tu tieni questa serie, come funziona per quanto riguarda i diritti dei personaggi che hai creato? Sono condivisi con Jonathan Hickman? Sono condivisi con la Marvel? In che modo effettivamente loro sono legalmente i tuoi figli?
Allora loro sono legalmente i miei figli perché appunto sono personaggi che ho creato io. Io ho un contratto esclusivo con Marvel, quindi in quel contratto ci sono parecchie clausole, come potete immaginare, sui comportamenti e anche molte che riguardano i diritti. Di norma mantengono i diritti dei loro personaggi, sono tutti loro e lo stesso vale anche per quelli creati da noi autori, quindi Wyn e compagnia bella sono di proprietà di Marvel, ma c’è un accordo particolare che si chiama appunto, relativo agli special character, che sono cioè i personaggi creati dal disegnatore per quella storia. Quindi se io faccio Captain America e gli cambio anche 50 costumi sono tutti di Marvel automaticamente, ma Wyn l’ho fatto io ed è uno special character perché l’ho proprio creato da zero.
Quindi in quel caso se poi viene usato per Action Figure, Film eccetera eccetera c’è un trattamento particolare che varia di volta in volta e per cui non mi ci faccio casa, però insomma è meglio che andare a vedere Capitan America al cinema e dovermi pure pagare il biglietto, mettiamo così. La prima che mi viene in mente è il Venom Space Knight, quello che ho fatto per i Guardiani della Galassia, quello l’hanno fatto in parecchie declinazioni, per cui c’è l’heroclix, ci sono le card, c’è una Marvel Legend alta così eccetera. Io quella me la sono dovuta comprare come tutti e non ho visto una lira, hanno fatto la minifigure di Iron Man con l’armatura che feci io, però se questa cosa successe per Wyn sarebbe diverso, io ho diritto a una parte delle royalties piccola, niente stravolgente, però lì ti viene riconosciuto. Se invece tu lavori fuori da Marvel oppure fai un lavoro particolare e c’è un accordo diverso, perché magari non è l’esclusiva ma è una miniserie, allora io in quel punto non lo vedo un trattamento.
