DanDaDan, seconda stagione – alzare l’asticella
Trattare questa seconda stagione di DanDaDan non ha quasi senso. Gli aspetti tecnici e il livello generale sono gli stessi della prima stagione, qui commentata. Le idee originali create in quel momento sono portate avanti.
DanDaDan – la prima stagione dell’anime è perfetta o non racconta nulla?
È ancora DanDaDan, quello stesso manga e poi anime che in questa stagione rende solida ed evidente la sua struttura. Archi narrativi più o meno brevi, personaggi aggiunti alla rosa dei principali, un momento conviviale attorno ad un tavolo, piccolo avanzamento della trama generale, piccolo avanzamento della trama romantica tra Momo e Okarun. Ripeti. Il tutto annaffiato da una buona dose di follia nella risoluzione dei conflitti, ironia, nonsense, originalità, flashback traumatici al momento giusto e con la durata giusta, tanta amicizia e un po’ di amore. Ripeti. A volte dei comprimari ritornano (evviva i crostacei). A volte ne appaiono di nuovi. L’intero insieme di avvenimenti di questa seconda stagione è ascrivibile a questo elenco asettico. Anche il finale sceglie un capitolo del manga e tronca brutalmente le vicende sul più bello, esattamente come nella prima stagione. Quindi perché parlarne?
Forse per Jiji e tutto il suo arco? Certo, ma non serve l’anime per quello. Jiji è uno dei personaggi migliori di DanDaDan e di fatto una demolizione dello stereotipo del “bello della scuola”. Il suo essere prodigioso in ogni campo lo fa brillare solo perché dotato di una gentilezza e di un altruismo altrettanto prodigiose. Non uno dei protagonisti credeva necessario tenere il Malocchio in vita, solo e soltanto lui. Tanto prodigioso, quanto gentile, quanto idiota. Ma ad essere brillante è stato Yukinobu Tatsu, l’autore del manga, nella sua creazione e caratterizzazione. L’anime ha fatto il suo lavoro e basta, no? Ha adattato fedelmente il tutto come nella prima stagione. Forse.
DanDaDan è un ottimo shōnen. Nella forma, nella sostanza, nella narrazione e nelle sue idee. Con la prima stagione lo studio d’animazione Science Saru – per chi vi scrive uno dei migliori in Giappone – è riuscito nello scomodo compito di mettere su schermo tutto questo. Bastava replicare la cosa. Ripetersi. Pareggiare. Tutti vincono, tutti sono contenti.
Partire da uno sparuto mucchio di tavole con una band all’opera e creare un’intera canzone non era nulla di scontato, aspettato e men che meno dovuto. Per di più in due lingue, giapponese e in inglese, coinvolgendo nella sua realizzazione qualche piccolo nome. Alla chitarra elettrica Marty Friedman, chitarrista dei Megadeth circa 35 anni fa, quando con Rust in Peace hanno lasciato un’impronta nel mondo del metal. Alla voce inglese Marc Hudson, dei Dragonforce, tra le band più rappresentative del power metal. Chi digita queste parole ha avuto bisogno di tornare indietro circa 4 volte per guardare la scena, visto come la canzone aveva preso il sopravvento sul sistema nervoso, causando un inconsulto movimento ritmico della testa. Chi è pratico di metal può capire (come se la stessa cosa non succeda anche ai personaggi).
Allungare un combattimento è più usuale, ma ancora non dovuto. Una figura umanoide gigante era sufficiente, invece perché non creare altro? Una inquadratura su una corsa a palese richiamo del folle dinamismo di Devilman Crybaby (sempre made in Science Saru, per la regia del fenomenale e mai troppo celebrato Masaaki Yuasa). I personaggi che volteggiano fra le creature con dei giochi di camera simili nella forma ma distanti nello spirito ad alcune scene dell’anime de L’attacco dei Giganti.
Le prodezze tecniche e l’eccellente mescolare (e far interagire) CGI e disegno manuale in un combattimento fra un kaiju ed un mecha non è dovuto. E non lo sono altre scelte, dettagli e idee presenti in pratica in ogni episodio, dalle parti con il Malocchio a quelle con il gigantesco verme di Dune ipnotico. La lista è come quella della spesa dopo un mese senza aver fatto provviste. Fortuna che il conto è meno salato.
La seconda stagione di DanDaDan non si è limitata a ripetersi, ad ingaggiare animatori ben pagati per riempire ogni scena d’azione di scoppi e lucine moleste. Non si è limitata a replicare il già enorme sforzo creativo – di adattamento e idee originali – della prima stagione, ma è riuscita ad alzare l’asticella. Non solo rispetto ai precedenti episodi, ma rispetto a tutti gli altri adattamenti anime. Per quanto suoni come un’opinione forte, non si tratta di creare nuovi standard per l’industria o altre uscite roboanti simili. Si tratta “solo” di aver mosso la linea piazzata da loro stessi. Come un atleta che raggiunge un ottimo tempo e la volta successiva fa ancora di più, diventando un esempio per tutti anche senza detenere un record mondiale. Eppure arrivando davanti a tanti altri.
È la dimostrazione della futilità dell’esagerazione, con l’eccesso soppiantato da buongusto e creatività. Le giuste idee nel momento giusto, di varia natura, originali, rispettose del manga e in grado non solo di “adattarlo”, ma di elevarlo, sfruttando le specificità del medium animato. Ed ecco perché bisogna parlare della seconda stagione di DanDaDan.