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Il soul è vivo, viva il soul! Lady Blackbird e i suoi Slang Spirituals

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Il soul è vivo, viva il soul! Lady Blackbird e i suoi Slang Spirituals

Articolo a cura di Gianluca Colazzo e Mariano Rizzo

Se c’è un’artista che sfugge a tutte le regole della discografia attuale, senza dubbio quell’artista è Lady Blackbird. Poche sono, infatti, le cantanti che hanno compiuto una gavetta “alla vecchia maniera”, un percorso lungo e tortuoso non privo di momenti bui che le ha portate ad affermarsi senza l’ausilio di talent show o social music; ancora meno sono quelle che, lungi dall’assecondare le (talvolta discutibili) tendenze attuali, si ostinano a proporre musica dal sapore rétro, il cui momento d’oro sembra trascorso da diversi decenni.

A Marley Siti Munroe, questo il vero nome dell’artista, questo profilo calza a pennello. Dopo un passato da backer di gruppi Christian Rock come i DC Talk, una decina d’anni fa questa cantante del New Mexico (losangelina d’adozione) era approdata alla grande distribuzione, con la firma di un prestigioso contratto con la Sony BMG: suoi sono ben tre brani comparsi negli album di Anastacia Resurrection ed Evolution, uno dei quali, Staring at the sun, ha perfino riscosso un buon successo come singolo internazionale. Tuttavia, il favoleggiato primo album di Marley Munroe non è mai stato prodotto.

Dopo un paio di infruttuosi tentativi autoprodotti (tra cui l’intenso EP Self-inflicted Voodoo, pubblicato con lo pseudonimo Charley Row), Marley Munroe ha finalmente imboccato la giusta strada: durante la registrazione di Black Acid Soul, composto principalmente da cover jazz-soul di classici americani, la cantante ha creato l’alias di Lady Blackbird, così chiamata in onore dell’omonimo brano di Nina Simone, di cui ha offerto una memorabile interpretazione; rimandato di circa un anno a causa della pandemia, questo album ha finalmente messo in luce le doti interpretative dell’artista, consentendone la rapida e meritata ascesa. Tre anni dopo, è arrivato per Lady Blackbird il momento di affrancarsi dall’identità di interprete e abbracciare la sua vera vocazione da cantautrice: lo fa con Slang Spirituals, il suo secondo album, uscito venerdì 13 settembre per BMG/Townsend Music.

Il disco è composto da brani scritti durante il tour promozionale di Black Acid Soul, ma anche molto prima: è noto che, nei progetti originali, l’album dovesse alternare cover a brani inediti della cantante. Un primo assaggio delle sue doti di artista completa lo si era avuto con la deluxe edition del primo album, comprendente pezzi come Feel it comin’ e Baby I just don’t, ben più orientati al pop-soul uptempo rispetto a quelli contenuti nel disco originale. Non è quindi un caso che, come singolo apripista di Slang Spirituals sia stato scelto Reborn, brano che richiama le atmosfere di quei due pezzi. Tuttavia, questa canzone è uno dei pochi richiami al passato: la verità è che Slang Spirituals è un disco sorprendente, destinato a stupire chi ha pensato di scoprire Lady Blackbird con Black Acid Soul.

Foto di Mariano Rizzo

Il disco si apre con Let Not (Your Heart Be Troubled), che fin dal titolo richiama classici della musica soul come Let the sunshine: una preghiera laica, un inno alla libertà che nel ritmo e nella composizione richiama efficacemente gli spiritual evocati fin dal titolo dell’album, “sporcati” ad arte da un’interpretazione che si rivela forte senza cedere mai alla rabbia. “Heaven is just a game not meant to last” canta Lady Blackbird, invitando gli ascoltatori a non fidarsi delle false promesse, ma a contare esclusivamente sulle proprie capacità.

Lady Blackbird fa insomma sua la missione “sociale” che già fu dei suoi principali modelli: Tina Turner (della quale, ammettiamolo, la cantante è erede diretta), Nina Simone, Grace Jones, la primissima Whitney Houston, Billie Holiday. La musica è liberazione, affermazione, sintesi di un percorso interiore volto a guadagnarsi rispetto e credibilità. Slang Spirituals, secondo le sue stesse parole, racconta di come

“sciogliersi dai nodi e lasciarsi andare per reclamare la propria libertà personale”.

Foto di Mariano Rizzo

La parola freedom riecheggia in effetti nei testi di molti brani, nonché nel titolo di Someday we’ll be free, unica canzone stripped-down dell’album insieme al secondo singolo Man on a Boat. Altrove, pur non menzionata, la si percepisce nettamente nel tappeto musicale, che richiama i tempi ormai mitici della liberazione hippy: oltre alla già citata Let Not, questo accade anche in Like a Woman, dove la donna diventa archetipo dell’amore universale. “We’ll get there” ripete poi Lady Blackbird in The City, unica concessione all’urban pop dell’album. La city del titolo è in effetti una sorta di terra promessa, dove la cantante chiede di poter arrivare: sintesi, forse, del suo tutt’altro che facile percorso professionale/artistico.

Ma Slang Spirituals è, soprattutto, un riuscitissimo omaggio al meglio del soul americano, in tutte le sue declinazioni e nelle sue più moderne accezioni: dal country scanzonato di If I Told You al gospel delicato di No One Can Love (Like You Do), passando per la psichedelica cover di When the Game is Played On You e per l’intenso trip lungo otto minuti della closing track, Whatever His Name. In questo viaggio sensazionale (nel più puro senso della parola), in questa varietà di suoni, atmosfere e sfumature, a tenere le redini è la voce di Lady Blackbird, finalmente libera di mostrarsi in tutte le sue sfaccettature: potente, vulnerabile, carezzevole, ironica… eppure sempre coerente. Come le grandi artiste.

Foto di Mariano Rizzo

Con Slang Spirituals, Lady Blackbird porta a compimento una triplice missione: affermarsi come cantautrice a tutto tondo, dimostrare che il soul è ancora vivo e pulsante e, infine, lasciarci a fine disco con la voglia di ascoltare altro. Cosa tutt’altro che scontata, di questi tempi.

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