Un medium dalle potenzialità espressive illimitate. Questo è, questo è sempre stato, l’animazione. Nel 2018 Spider-man: Un nuovo universo ha donato una ventata d’aria fresca a questo medium. Ecco quindi apparire I Mitchell contro le macchine, Il gatto con gli stivali 2 e il venturo TMNT: Mutant Mayhem. Cosa aspettarsi quindi da Spider-Man: Across the Spider-Verse?
A dire il vero, molto. Essere un innovatore del proprio settore e per di più un apice qualitativo rende complesso superarsi. Eppure.
Eppure, Across the Spider-Verse è il sequel perfetto. Non la banale continuazione della storia, ma un’evoluzione globale di quel che era la prima pellicola. Ci si aggancia alle tematiche portanti (ed alquanto basilari) di Into the Spider-Verse per spingerle verso vette inesplorate.
Il concetto di eroe e la solitudine che ne deriva si incarnano nello sviluppo sia di Miles Morales che di Spider-Gwen, il personaggio più splendente e vera protagonista del film. Si scava a fondo in questa tematica, fondante del genere, e fornire punti di vista contrastanti senza giungere ad una reale risposta.
Il collegamento alle altre due tematiche portanti è immediato. Into the Spider-Verse trattava la complessità di essere genitori e comunicare con i figli, Across the Spider-Verse si muove in avanti coerentemente. La fase ribelle dell’adolescenza e la volontà di essere indipendenti si agganciano al dover vivere una seconda vita. La vita dell’eroe fa ancora una volta da ponte tra Miles e Gwen, usata ancora una volta come mezzo per scavare a fondo nelle tematiche.
L’incomunicabilità che la maschera genera, la vicinanza di età e i sentimenti complessi che provano l’uno per l’altra rendono il rapporto tra Miles e Gwen il fulcro delle vicende. La leggera differenza di età, con il ribaltamento del canone “classico” (a.k.a. stantio) del ragazzo più grande della ragazza e la “distanza” che li separa rende complessa la dinamica sentimentale.
In tal senso la sceneggiatura fornisce allo spettatore solo una piccolissima quantità di informazioni in più rispetto ai personaggi, non dando modo di capire fino in fondo quali siano i sentimenti di Gwen e come questa risponda a quelli, palesi sin dal primo film, di Miles. Onde evitare spoiler, basti sapere che la scena preferita di chi vi scrive coinvolge proprio loro due e questa tematica. Una scena in grado di far scuola su come scrivere una dinamica sentimentale ed anche come inserire dei dettagli a livello artistico che elevano l’intera opera.
Sfruttando questo aggancio: evoluzione artistica. I 4 anni e più di lavoro si vedono. Si vedono a livello di miglioramento globale e fluidità. Si vedono a livello di evoluzione e varietà stilistica.
Prima ancora dell’apparenza, è da lodare il montaggio. La pannellizzazione “da fumetto” che appariva ogni tanto nel primo film qui evolve, con degli split screen che narrano talvolta istanti di tempo lievemente distanti con inquadrature diverse, esattamente come delle vignette di un fumetto, ma in movimento. Quello che succede in queste fasi è una e propria mescolanza di due media, con una gestione di spazio e tempo tipica del fumetto ma con le immagini in movimento tipiche di cinema ed animazione. Trovate come queste, assieme a montaggi serrati ed alternati nei momenti concitati, riempiono gli occhi e fanno sì che ad ogni visione si possa notare qualcosa di nuovo. Anche i “piano sequenza” sono utilizzati in maniera più variegata e matura rispetto ad Into the Spiderverse. A corollario, gli ambienti riflessi negli “occhi” dei costumi sono più numerosi, più diegetici e di una bellezza mai raggiunta.
Il cambiare, inoltre, lo stile di animazione e quello di disegno dei vari personaggi non era solo un vezzo già nel primo Spiderverse, ma qui si va oltre. Ogni stile ha delle codifiche precise, un uso delle linee e degli elementi 2D unico ed una palette cromatica selezionata. Scopo ultimo? Comunicare a livello visivo. Gwen sarebbe, ancora una volta, l’esempio cardine. Nel suo mondo lei è leggermente diversa, mentre del tutto diverso è l’uso del colore e degli sfondi, che abbandonano il realismo in funzione di una comunicazione emotiva portata a livelli enormi. Una sfumatura diversa del discorso si potrebbe attuare per The Spot, villain a dir poco secondario nei fumetti che qui trova una glorificazione ed evoluzione mai vista.
In generale, si potrebbe concludere affermando come tutti i personaggi hanno una scrittura coerente e brillante, che si tratti di nuove comparse, come lo splendido Miguel O’Hara, o di ritorni come Peter Parker. Ognuno segue un percorso di maturazione logico e giustificato, che scaturisce dalle dinamiche della storia senza imporsi su esse o rimanerne vittima. È come avere una bilancia in perfetto equilibrio: da una parte emotività e scrittura dei personaggi, dall’altra un tripudio di stili, forme e colori che esaltano l’azione. Ma i due piatti di questa bilancia non sono distanti, bensì si bilanciano a vicenda, raggiungendo appunto il citato equilibrio perfetto.
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Video e immagini dagli Uffici Stampa Sony Pictures e Studio Sottocorno.