Discutere di Andor, l’ultima serie TV giunta in casa Star Wars, sembra in apparenza molto facile. È innegabile, infatti, che ad una buona qualità tecnica si affianchi un’uniformità registica ed una scrittura solidissima, che creano un prodotto coeso come pochi altri in questo universo. L’idea di raccontare sia la nascita che il “lato oscuro” della ribellione funziona; i dodici episodi filano via prendendosi i propri tempi narrativi ma senza mai indugiare in verticalità o allungare artificialmente le vicende.

Cassian Andor
Cassian Andor (Diego Luna). ©2022 Lucasfilm Ltd. & TM. All Rights Reserved

Cassian Andor è interpretato da un Diego Luna in piena forma e i comprimari sono eccellenti per scrittura e caratterizzazione, in particolar modo il Luthen di Stellan Skarsgård. Questi personaggi e gli intenti della serie riportano quindi in auge i toni e i temi del riuscito Rogue One, lasciando da parte la forte dicotomia che da sempre caratterizza il franchise.

Mon Mothma (Genevieve O’Reilly). ©2022 Lucasfilm Ltd. & TM. All Rights Reserved

Qualitativamente, quindi, si è davanti ad una prima stagione che non ha nulla da invidiare alla corrispettiva di The Mandalorian, ambientata in un periodo storico ed un contesto molto amati dal fandom e con delle atmosfere figlie di un film che incassato un inaspettato miliardo al botteghino.

Andor
La locandina di Andor, su Disney+

Eppure, Andor non ha funzionato. Non come avrebbe potuto, quantomeno.

Attenzione, parlare di flop risulterebbe quantomeno eccessivo. A fronte di un plebiscito di elogi per scrittura e personaggi, l’accoglienza della serie da parte del grande pubblico è stata tiepida.

Dati alla mano, nella settimana che va dal 10 al 16 ottobre 2022, ossia con la messa in onda del sesto episodio e quindi a metà della stagione, Andor risulta, secondo il sito Nielsen.com, il settimo prodotto originale più visto dagli statunitensi. Si veda la classifica al link seguente, dopo aver cliccato su Original sotto Week of October 10 – 16, 2022: https://web.archive.org/web/20221112220455/https://www.nielsen.com/top-ten/

 

Numeri per nulla paragonabili ai record infranti da Obi-Wan Kenobi, ma nemmeno da mettersi le mani nei capelli. Allo stesso modo, l’accoglienza riservata alla serie da parte del pubblico è stata meno entusiasta di quella tributata alla seconda stagione di The Mandalorian o allo stesso Obi-wan, dei cui enormi problemi vi abbiamo parlato in questo articolo.

Questo relativo (in)successo di Andor apre ad una serie di riflessioni.

La prima coinvolge lo squisito paradosso che riguarda Andor come serie in sé. Pubblicizzata senza eccessiva enfasi e basata su un personaggio non certo scolpito nella memoria collettiva, Andor ha vissuto la geniale idea di essere pubblicata, in gran parte, nelle stesse settimane in cui erano messe in onda le due serie TV più attese dell’anno. Si parla ovviamente de Gli Anelli del Potere (potete sapere la nostra in questo articolo) e di House of the Dragon (anch’essa protagonista di un articolo).

Ciononostante, nella settimana analizzata le due serie erano ancora in corso ed Andor non sembra aver accusato eccessivamente il colpo. Probabilmente per una questione di fandom diversi, o affezionati al franchise, o per una differenza di genere, difficile stabilirlo. In ogni caso, si può ritenere ragionevole escludere il periodo di pubblicazione come causa principale dell’accoglienza di Andor, seppur non si possa eliderla del tutto con scientifica certezza.

Si può allo stesso modo inferire (o azzardare) che Andor fosse effettivamente una “giusta” serie da contrapporre da parte di Disney+ ai due colossi di Prime Video ed HBO Max. Il paradosso emerge quindi notando come a livello di numeri la serie abbia “tenuto botta” nonostante la concorrenza, ma non venendo tributata di grandi onori. Questo si aggiunge quindi al parco di elementi contrastanti già citati in apertura.

Maarva (Fiona Shaw). ©2022 Lucasfilm Ltd. & TM. All Rights Reserved

Ancor più produttiva risulta però una riflessione sulla serie rispetto al suo contesto e franchise. Star Wars ha subito negli ultimi anni prima un declino e poi un divorzio completo (seppur forse non definitivo) con la sala. Nel 2018 Solo: A Star Wars Story è stato un flop, incassando 400 milioni di dollari a fronte di un budget di produzione di 275 milioni, cifra raggiunta peraltro grazie a svariati problemi, tra cui un cambio di registi. A tale spesa va sommata la cifra investita nella pubblicizzazione del titolo. A differenza di budget ed incassi è complesso avere accesso a tali dati, ma per questo tipo di produzione si stima una spesa di marketing pari al budget stesso. Quindi, a spanne, una pellicola va in guadagno se incassa almeno il doppio del suo budget, in questo caso quantomeno 550 milioni di dollari.

Le cause di tale ammanco meriterebbero una discussione a parte, per quanto la qualità del film non eccelsa e la generale percezione della mancanza di necessità dell’intera opera possano aver contribuito.

Dopo Solo è stato il turno di Star Wars Episodio IX: l’ascesa di Skywalker. Un corposo incasso di un miliardo di dollari potrebbero essere specchio di un successo assoluto, ma. L’incasso dell’ultimo film della trilogia è stato, a ben vedere, pari a quello di Rogue One, uno spin-off. Il responso della critica è stato poi misto, per un film che può essere facilmente definito tra i peggiori prodotti di Star Wars in termini di scrittura e malcelato becero fanservice. La voglia di andare contro tutto ciò che Rian Johnson aveva costruito con il discusso Episodio VIII e di regalare ogni forma di contentino possibile ai fan è stato quindi quanto di peggiore si potesse fare alla chiusura della trilogia.

Se alla combinazione di questi due fattori si aggiunge l’epidemia di Covid 19 si ottiene la ricetta perfetta per il divorzio tra SW ed il cinema. Lo stesso Kenobi sarebbe dovuto essere un lungometraggio e non una miniserie, dal successo praticamente garantito. Stessa sorte per il terribile The Book of Boba Fett, che più di tutti ha sofferto il cambiamento, divenendo nulla più di un “The Mandalorian stagione due e mezzo”.

Cosa c’entra tutto questo con Andor?

Prima ancora della pressione sul bottone “riproduci Episodio 1”, Andor risulta l’ennesima serie di Star Wars. L’ennesima serie che ripropone ANCORA il periodo di tempo posto dopo Episodio III e prima di Episodio IV. Una serie che, dopo un protagonista divenuto iconico (assieme alla sua baby spalla) e due protagonisti ben noti ne mette su schermo uno semi-sconosciuto. Una serie che parla della arcinota ribellione, lunga dodici episodi rilasciati uno a settimana.

Poco importa della qualità della scrittura, dell’unicità delle atmosfere, delle idee intelligenti e creative e la struttura perfettamente cadenzata. Perché tutte le considerazioni dello scorso paragrafo rimangono valide ancor prima di visionare la serie, spingendo verso un rifiuto o un rinvio. Nella migliore delle ipotesi dopo fine stagione, nella peggiore chissà. Quel che è certo è che il contesto attorno a cui questa serie è nata e quello in cui è stata pubblicata è, ad esser gentili, non ottimale per farla fruttare.

Eppure, è il tipo di prodotto di cui Star Wars ha bisogno. Grazie alle tematiche e l’approccio moderno, la nascita della ribellione viene raccontata ponendo l’accento su quanto essa sia costata, sia in termini economici che umani. Narra di come la ribellione abbia, come la Forza, un lato oscuro, ma che il bene che ne dovrà derivare ne giustifica i mezzi.

In questo però è anche un prodotto lontano dal “classico” Star Wars, più di quanto lo fosse Rogue One. Questo non significa che ogni prodotto successivo ad Andor debba seguirne le atmosfere, rinunciando alla dicotomia o all’ironia tipica del franchise. Certamente però dovrebbe seguirne la coesione narrativa e la capacità di intrecciare le linee narrative, stratificando i personaggi.

È proprio l’unione di questi motivi che rende Andor un paradosso, una serie giusta in un momento sbagliato. Giusta per tutto ciò che è, ma arrivata nel momento sbagliato della storia del franchise.

 

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