Gli anelli del potere Il Signore degli anelli

Il Signore degli Anelli: Gli Anelli del Potere, la serie basata su parte degli scritti di J.R.R. Tolkien, si è conclusa con il suo ottavo episodio sulla piattaforma Prime Video, andando in onda in simulcast internazionale dal 1 Settembre al 14 Ottobre di questo 2022. Tirare le somme su questa serie richiede un’analisi approfondita, non solo delle otto puntate in quanto tali, costituite dai vari elementi fondanti come sceneggiatura, regia e via dicendo, ma anche di tutti quegli elementi che orbitano intorno a qualsiasi tipo di produzione simile oggigiorno. La stesura stessa della sceneggiatura e del soggetto sono state pesantemente influenzati dal materiale di cui Amazon poteva usufruire, dopo un tortuoso accordo con gli eredi di J.R.R. Tolkien e la Warner Bros. Allo stesso modo, la stagione è stata immediatamente messa sotto pressione da un possente review bombing da parte del pubblico, come anche dal confronto con la concorrente House of the Dragon, trasmessa dalla HBO.

La genesi di Il Signore degli Anelli: Gli Anelli del Potere è stata particolarmente travagliata e va a pesare moltissimo tanto sia sulla scrittura della stessa quanto sulla percezione che il pubblico ne aveva, ancor prima della messa in onda. L’acquisizione dei diritti di qualsiasi parte degli scritti di J.R.R. Tolkien è un’operazione perigliosa e costosa: le condizioni necessarie perché Amazon potesse produrre una serie basata sul mondo di Arda hanno dunque portato ad una spesa esorbitante da parte dell’azienda di Jeff Bezos, che per di più ha garantito alla produzione solo delle appendici delle opere Tolkeniane. Questo materiale in mano agli sceneggiatori ha quindi sì dato loro la possibilità di scrivere la serie, ambientandola nella seconda era della Terra di mezzo e parlando degli eventi che hanno portato alla creazione degli anelli del potere, ma in modo limitato e circoscritto ad alcuni eventi e nomi, portandoli quindi a dover addirittura aggirare alcune situazioni modificando il materiale di partenza. Se già questo costituiva tanto un ostacolo alla scrittura, quanto forse uno stimolo ad essere creativi, agli occhi del pubblico più affezionato al mondo di Tolkien era un elemento di grave pregiudizio nei confronti del prodotto.

Gli anelli del potere

Queste premesse sono doverose per capire come il pubblico abbia percepito la serie, ma anche per comprendere meglio il rapporto che intercorre fra di essa e tutti gli altri prodotti del mondo tolkeniano, dagli scritti originali alle due trilogie filmiche, Il signore degli anelli e Lo Hobbit. Come si potrà ben notare visionando gli otto episodi che compongono la prima stagione, gli Anelli del Potere vive di due anime distinte e che, all’apparenza, risultano stranamente impossibili da amalgamare: da una parte la serie cerca di portare in scena un fantasy antico, pomposo, magniloquente, quasi tentando di imitare gli scritti di Tolkien, che spesso indugiavano in lunghe digressioni sugli ambienti, immergendo il lettore in un mondo fantastico che trasuda high fantasy. Dall’altra parte gli Anelli del Potere cerca in ogni modo di rifarsi al magnifico lavoro svolto da Peter Jackson, nella regia, nei dialoghi, nell’accentuare l’importanza di personaggi iconici per il franchise, finanche arrivando ad assumere nuovamente Howard Shore per produrre il tema principale della serie o girando le puntate in Nuova Zelanda, come avvenne per le due trilogie cinematografiche.

Andando oltre le intenzioni e la percezione del pubblico generalista, gli Anelli del Potere è una serie che soffre di evidenti problemi in diversi campi, che spaziano dal ritmo della narrazione alla costruzione di alcuni personaggi, finanche a toccare alcune prove attoriali che sono risultate poco convincenti. Fra le otto puntate di cui è composta la prima stagione le più convincenti sono senza dubbio le prime due, che costituiscono un prologo unico anche nelle intenzioni di Amazon, che le ha rilasciate sulla piattaforma nella stessa giornata. Ad esse si aggiungono anche la settima e l’ottava, come anche la sesta sul finire dell’ora di visione: questi cinque episodi hanno il pregio di risultare un prologo ed una conclusione intriganti e ben congeniati per la stagione, nonché – non troppo casualmente – le puntate che maggiormente riescono a strizzare l’occhio alla trilogia di Jackson. Il corpo centrale delle puntate, ovvero quelle che vanno dalla terza alla quinta, sono uno scoglio durissimo per l’intera stagione a causa di diversi motivi che si intrecciano ed alimentano fra di loro: l’effetto finale della somma di questi elementi è che, dopo le prime due puntate capaci di immergere il fruitore nella Terra di mezzo, questi tre episodi risultano essere estremamente tediosi e a tratti anche fastidiosi.

La stagione si divide in quattro distinte linee narrative, dopo essere partita con il personaggio di Galadriel come protagonista assoluta della serie: l’elfa, insieme all’umano Halbrand, sarà protagonista della linea narrativa che coinvolgerà lo splendido regno di Numenor. Oltre a loro il focus sarà posto su Elrond e Durin, le cui vicissitudini prenderanno piede fra Moria e la capitale del regno elfico, Lindon; il misterioso personaggio Meteorman vivrà un’avventura “on the road” con gli antenati dei mezz’uomini, i pelopiedi, aiutato da Nori Brandipiede; infine l’ultima linea narrativa coinvolgerà Arondir, un ranger elfico impegnato a sorvegliare le Terre del Sud, luogo in cui gli umani in passato servirono Sauron e in cui il male si ridesterà sotto il vessillo dell’elfo corrotto Adar. Srotolate sul tavolo queste quattro linee narrative hanno tutte un grande potenziale, eppure di tutte solo una risulta praticamente perfetta dall’inizio alla fine, mentre le altre zoppicheranno per tutta la stagione, riuscendo a risollevarsi del tutto solo verso la fine. La più funzionante è senza dubbio quella che coinvolge Durin e Elrond, soprattutto grazie all’alchimia che viene messa in scena fra i due personaggi, favoriti da una serie di dialoghi quasi mai banali e fuoriposto, ricchi di tensione e comicità e sottotesti avvincenti.

Delle vicende che prendono piede a Moria fa parte una delle scene più potenti per quanto riguarda l’immaginario fantasy, ovvero il “canto alla pietra” eseguito dalla moglie di Durin, Disa, altro personaggio magnificamente scritto e magnetico in ogni sua inquadratura, al punto da rubare la scena ogni volta che le viene data parola. Parlare di questa sequenza mi fornisce inoltre l’occasione per citare le fantastiche musiche di Bear McCreary, che ha firmato tutto lo score della serie e che probabilmente avrete conosciuto in un film più o meno recente come Godzilla King of Monsters della Legendary. Se Howard Shore è un mostro sacro soprattutto per i fan di Tolkien, Bear McCreary non gli è da meno, avendo confezionato anche per questa serie una colonna sonora strabiliante, capace di emozionare e intimidire l’ascoltatore, sposandosi magnificamente con qualsiasi scena venga proiettata a schermo.
Le vicende di Moria inoltre permettono una digressione sui costumi prostetici e la CGI (computer-generated imagery) usati nella serie: in entrambi i casi le tecniche sono state usate con un altissimo livello, i nani di Moria sono convincenti esattamente come lo furono tanti anni fa nel Signore degli anelli e ne Lo Hobbit, mentre una delle più magnificenti scene fanservice della serie, eseguita con un gioco di camera estremamente ispirato, coinvolge una creatura completamente creata in computer grafica e che nulla ha da invidiare ad una produzione cinematografica.

Altro stupendo esempio di costumi prostetici sono tutti gli orchi che appaiono nella serie: nelle Terre del Sud, l’elfo Arondir dovrà proteggere dei semplici popolani dall’attacco degli orchi, che con un subdolo piano cercano di riconquistare quel territorio in nome di Adar, un personaggio creato appositamente per la serie come Arondir stesso. Il fatto che per creare gli orchi siano stati usati dei costumi e non la CGI è la dimostrazione di come la produzione abbia fatto tesoro degli errori commessi in passato da altri, quando nella trilogia de Lo Hobbit si decise di usare massicciamente la computer grafica, portando all’insorgere del pubblico.
Il risultato comunque è magnifico, restituendoci creature orride e deformi: partendo da qui però è necessario sottolineare le debolezze della serie. Proprio la linea narrativa di Arondir è una delle peggiori fra le quattro: tutte le vicende, man mano che si svolgono nelle puntate, hanno poco mordente e spesso avvengono in modo anche confuso. Arondir non è un protagonista degno della storia, portando il fruitore ad annoiarsi in fretta e chiedersi spesso e volentieri perché proprio lui debba ricoprire quel ruolo. Tutta la sua storia troverà infine risoluzione non tanto nelle sue gesta o in quelle dei popolani che aiuterà, bensì nell’incrocio con le linee narrative di altri protagonisti e nelle azioni dei cattivi della serie, cioè gli orchi e Adar, che risulteranno decisamente più interessanti.

Il problema in assoluto più grande della serie è forse il personaggio di Galadriel, che in buona misura dovrebbe essere la protagonista preponderante su tutti gli altri: il problema, ovviamente, non è la mancata somiglianza del personaggio della serie a quello che tutti conoscevamo dalla trilogia di Jackson, bensì la sua incapacità di crescere e, anche, le mancanze dell’attrice che ricopre il ruolo. gli Anelli del Potere – come già ribadito – è stata opzionata per cinque stagioni, ciò significa che in parte è saggio costruire i personaggi affinchè questi abbiano un margine di crescita fino all’ipotetica stagione conclusiva, ciò non toglie che se all’inizio il personaggio di Galadriel appare interessante (in una versione guerriera che soffre di una sorta di sindrome da stress post traumatico), la sua crescita sembra completamente congelata per almeno sei episodi su otto della serie. Il vero momento in cui il personaggio riesce a brillare è nell’ottava puntata, quando tra l’altro si scopre che buona parte delle sue azioni sono state subdolamente manipolate, costringendola ad affrontare duramente le conseguenze: i dialoghi che seguiranno sono magnifici, ma arrivati all’ottava puntata si odia talmente tanto il personaggio da faticare ad apprezzarlo.

L’attrice che interpreta Galadriel non aiuta affatto: sebbene gli elfi in questa serie sembrino costruiti appositamente per apparire austeri e arroccati sulle loro posizioni, tanto ideologicamente quanto anche fisicamente, l’attrice Morfydd Clark sembra incapace di esprimere più di due emozioni con la mimica facciale, i movimenti del corpo o la voce. La maggior parte delle sue scene, tra l’altro, non brillano per la scrittura dei dialoghi, risultando spesso talmente altisonanti e letterali da risultare quasi imbarazzanti: ma anche in quel caso una magnifica prova attoriale sarebbe stata capace di aggiustare il tiro, evento che purtroppo non si è verificato, fino almeno all’ultima puntata. Ci sarebbero altri numerosi esempi di interpretazioni anticlimatiche, ma usando le prove attoriali come trampolino vorrei gettarmi a parlare dell’ultima linea narrativa che ho nominato in precedenza, quella del Meteorman e dei pelopiedi. L’attore che ricopre il ruolo del misterioso uomo caduto dal cielo è Daniel Weyman, interprete per lo più misconosciuto ma che, a fronte della poca fama, è riuscito a portare una magnifica interpretazione, passando da intere scene in cui non poteva proferire parola, fino alla svolta del personaggio, anch’essa avvenuta nell’ottava puntata.

Buona parte del fascino e dell’interesse che si poteva provare per la serie nasce inoltre non solo dalla scrittura dei personaggi e delle scene che li coinvolgono, ma anche e soprattutto dal mistero che è stato alimentato di puntata in puntata. Il Meteorman di Weyman infatti incuriosisce il fruitore, sia che si tratti di un fan sfegatato di Tolkien che di un amante dell’ultima ora: il suo arrivo sulla terra in forma di meteora, i suoi poteri magici incontrollabili unitamente alle streghe che da un certo punto in poi lo cercheranno, faranno sì che ci si ponga costantemente domande sulla sua identità.

Allo stesso modo il segreto che più di tutti è riuscito a tenere incollati allo schermo è l’identità dell’oscuro signore Sauron, il quale descritto da subito come capace di mutare forma, ha creato una sorta di toto personaggi fra i fruitori, i quali di settimana in settimana cercavano di capire dietro a quale volto si nascondesse il creatore dell’Unico anello. Arrivando alla fine della stagione è innegabile che questi misteri siano stati ben gestiti e che la loro risoluzione sia stata in larga parte appagante, per quanto nel caso del Meteorman la scrittura alle spalle delle tre streghe sopracitate rasenta lo spessore di un foglio di carta: non basta pensare che ciò che le riguarda verrà sviscerato meglio nella seconda stagione, si tratta di tre personaggi con una discreta quantità di screentime che resteranno per sempre dimenticabili.

Gli Anelli del Potere è una serie terribilmente altalenante, che sostanzialmente mostra i muscoli senza sbavature solo nel comparto visivo e uditivo: la fotografia della serie è magnifica, le colonne sonore interessanti e nostalgiche, i costumi e la CGI sono altrettanto sbalorditive. Queste caratteristiche positive però cozzano con un ritmo della narrazione dilatato all’inverosimile, una costruzione dei personaggi schizofrenica, con alcuni di loro magnificamente dipinti dalla prima all’ultima puntata, ed altri che invece funzionano solo a tratti. Fra questi personaggi ci sono alcuni interpretati da attori abilissimi, capaci di rubare la scena con un semplice sorriso, mentre altri sono capaci di rovinare una scena emozionante con un pianto che appare finto come alcune scene di battaglia: nel 2022 solo gli Stoorm Trooper di Star Wars hanno il diritto di mancare un singolo bersaglio con una selva di blaster, in qualsiasi altro prodotto un esercito di arcieri non ha scuse per non colpire un personaggio con una freccia, per di più a breve distanza.

Tirando le somme, gli Anelli del Potere ci ha comunque soddisfatti ed è riuscita a regalarci molto, catapultandoci nuovamente nella Terra di mezzo e donandoci una serie fantasy che strizza l’occhio sia al Signore degli anelli di Peter Jackson che ad un tipo di fantasy di stampo ancora più classico e, tristemente, vecchio. Risulta però necessario riflettere sulle potenzialità sprecate da questa stagione, perché se alla fine ci siamo sentiti soddisfatti dalla visione è anche vero che delle otto puntate quasi la metà sono insalvabili e sono riscontrabili numerosi errori (nota spoiler) che esulano abbastanza dalle opinioni personali.
Amazon ha cercato nella campagna marketing della serie di porre l’accento sul budget speso per crearla, il più alto per una serie TV nella storia da quanto ci è dato sapere: non sarebbe stato meglio provare a spendere meno budget in qualche campo, pur di favorire una scrittura migliore della serie, soprattutto nel campo dei dialoghi? Considerando che durante la stesura di questo articolo, il concorrente della HBO, House of the Dragon, ha regalato una delle scene più potenti del 2022 solo grazie all’interpretazione mastodontica di Paddy Considine nel ruolo di Viserys Targaryen, senza la necessità di CGI o di ambientazioni e costumi ricchissimi, la risposta ci sembra lampante.

P.S.: All’inizio dell’articolo abbiamo parlato del review bombing ricevuto dalla serie, così consistente da costringere Amazon a impedire i commenti alle puntate per un certo periodo di tempo. Tale review bombing si è verificato a causa di un grande malcontento che si è diffuso fra i fan delle opere Tolkeniane, che si sono ritenuti offesi e presi poco in considerazione a causa delle marcate differenze presenti nella serie rispetto al materiale originale.
Per quanto sia nostra intenzione rispettare i desideri del pubblico, che troviamo legittimi, non riterremo giustificate critiche a gli Anelli del Potere basate proprio sulla differenza fra la serie e gli scritti di Tolkien, in quanto non è su questi elementi che si basa la qualità di una serie TV.

 

Articoli correlati:

Gli Anelli del Potere: oltre 25 milioni di spettatori al primo giorno

House of the Dragon: con i draghi è tutto più bello

House of the Dragon dal 22 agosto su Sky e NOW

Nota spoiler

Fra gli errori che vorremmo citare per avvalorare la nostra tesi, sarebbe utile nominarne due presenti nella linea narrativa di Galadriel ed uno presente in quella di Arondir. Nella prima puntata, Galadriel e la sua brigata uccidono un troll dei ghiacci in una stupenda sequenza action: il cadavere del mostro cadrà al suolo, per poi scomparire nell’inquadratura seguente, come se non fosse mai esistito.
Un altro errore si può riscontrare nell’approdo dei Numenoreani nella terra di mezzo: in quel frangente Arondir e i suoi protetti stanno per essere uccisi dagli orchi, venendo però salvati da Galadriel e i soldati di Numenor accorsi in loro aiuto. Per quanto la scena sia ben girata e d’impatto, nasce da un errore banale: i Numenoreani dovevano approdare in quelle terre, ma nessuno di loro era consapevole dell’attacco in corso, di conseguenza la scena del salvataggio non ha basi logiche su cui appoggiarsi.
Per chiudere, Arondir riesce a salvare temporaneamente la situazione, facendo crollare la torre di guardia che gli orchi stavano assaltando, alle pendici di una cascata: per come sono state girate le scene precedenti, l’intera via percorribile dal villaggio sottostante alla cascata era completamente invasa dagli orchi nemici. Nonostante questo, a seguito del crollo, Arondir arriverà al villaggio sottostante senza che nessuno lo noti, più in fretta di qualsiasi orco, senza ferite e senza dare spiegazioni sull’impresa appena compiuta, lasciando allo spettatore il compito di cercare una giustificazione al tutto.

Write A Comment