Poche cose sono certe. Una di queste è che ogni volta che finisce una stagione di The Boys chi vi scrive ha fame della successiva. Nel bene e nel male. Perché in questa terza stagione The Boys rimane fedele a se stesso, non spinge troppo sull’acceleratore, ma nemmeno arretra. In altre parole sorprende, ma senza sorprendere.
Procedendo con ordine. The Boys è una serie Prime Video il cui esplosivo successo è stato dovuto sia alla sua visione dissacrante dei supereroi che al livello di violenza messa in scena. Grazie a questo successo ha creato uno standard, per cui la percezione della serie cambia se la si confronta con se stessa oppure alle altre serie dello stesso genere.
In tal senso, la terza stagione rimane nei binari costruiti dalla precedente, riuscendo a mantenere sempre alto il livello di sangue, budella e colpi di scena. Si mantiene sullo stesso livello anche il comparto tecnico, di ottimo livello per una produzione televisiva e sul quale non c’è da discutere troppo.
Ci sono quindi diversi problemi nella stagione, ampiamente bilanciati da tutto il resto e di cui solo una parte sono effettivi (e piccoli) difetti. Fisiologicamente, ogni serie TV che superi una certa lunghezza rischia di iniziare a ripetersi, anche senza diminuire in qualità. Più che un vero e proprio difetto questo è un problema di percezione del pubblico nei confronti del prodotto. Cascarci è facile, uscirne è complesso. Chi vi scrive è consapevole che la stagione sia di ottima qualità e abbia degli sviluppi incredibili, ma non può fare a meno di pensare, a freddo, che sperava che la stagione osasse ancora di più in tanti aspetti. Praticamente è una battaglia tra irrazionale e razionale in cui nessuno dei due la spunta.
Ulteriore problema di percezione nasce dalla hype culture. Che la cultura dell’aspettativa sia il male dell’odierna industria dell’intrattenimento è palese e in questo caso ha colpito duro. Una parola: Herogasm. Il sesto episodio di questa stagione è uno dei migliori dell’intera serie, un condensato di tutti i pregi del prodotto. Quindi dov’è il problema? Non c’è. Il “problema” nasce dall’enorme mole di aspettative che pubblico e marketing hanno generato, che è però un fattore esterno alla serie e non ne altera la qualità. Non è il momento adatto per discutere su come queste “colpe” vadano ripartite, ma dire “mi aspettavo di più” non costituisce una critica ragionata, semmai solo un capriccio.
Ulteriore problema delle serie tv di successo è il non riuscire a liberarsi di determinati personaggi, perché divenuti ormai troppo popolari. La storyline di Abisso (Chace Crawford) da storia di contrappasso e redenzione si arena in una sottomissione totale a Patriota, non aggiungendo quasi nulla al personaggio. Allo stesso modo A-Train (Jessie Usher) durante questa stagione raggiunge la sua maturazione, ma la sua sopravvivenza ha un sapore agrodolce; da una parte è l’ennesima dimostrazione della capacità della Vought di cadere in piedi, dall’altra sembra un goffo tentativo di tenere vivo il personaggio ad ogni costo.
Sempre sul fronte personaggi, è evidente come il personaggio di Soldatino non fosse stato concepito dalla prima stagione (pur esistendo nel fumetto, ma non importa). Comprensibile, ma è fin troppo evidente come sia stata un’aggiunta postuma e fa fin troppo strano vedere come l’eroe più famoso della storia venga nominato una volta in due stagioni e visto zero. È un difetto? Sì. Grave? Assolutamente no, anzi lo si perdona ampiamente.
Allo stesso modo ritorna un difetto già presente nella seconda stagione: The Boys a volte tende a “parcheggiare” i personaggi, rimandando la loro evoluzione a quando la serie lo richiede. Se da un lato è normale farlo quando si ha un cast ampio, dall’altro diventa un problema quando il meccanismo è così visibile. Se nella scorsa stagione è stata Starlight (Erin Moriarty) a subire questo trattamento, stavolta è toccato sulle prime a Frenchie (Tomer Capone), LM (Laz Alonso) e Hughie (Jack Quaid). Per fortuna la stagione ha poi raddrizzato il tiro, regalando un bellissimo sviluppo a tutti e tre (Frenchie e Kimiko rimangono una coppia meravigliosa e sì, il momento musical era volutamente imbarazzante, ma ci ho riso come un idiota).
Infine, Il finale di stagione è abbastanza sottotono rispetto alla media degli episodi della stagione. La morte di Black Noir, che avrebbe potuto avere molto di più da dire e il finale lieto (per modo di dire) dei “ragazzi”, lascia quasi una sensazione di nulla di fatto. È come se tutti i pezzi sulla scacchiera fossero al punto di partenza, con l’unica reale variabile costituita da Ryan, ora alleato con il padre. Non è terribile e non fa venir meno la voglia di andare avanti, è soltanto meno in linea con tutto il resto.
E che stagione è stata. Lo sviluppo di Patriota sarebbe da solo sufficiente a valere la visione di tutta la stagione, elevandolo ad uno dei personaggi migliori che il genere supereroistico abbia mai visto su schermo, grande e piccolo. Le sue sfaccettature sono tali da far quasi tifare per lui in alcuni momenti, per poi far sentire sporco lo spettatore per averlo fatto. L’abbassamento morale cui Butcher va incontro rende sempre più complesso schierarsi dalla sua parte, mentre il complesso dell’eroe di Hughie nei confronti di Annie lo rende disprezzabile sulle prime, redimendolo nel finale.
L’alchimia fra i personaggi principali è sopraffina, si superano molti limiti morali e si crea così una tensione costante che rende imprevedibile l’evolversi dei rapporti. In tal senso, lo scontro nell’ultimo episodio è la cosa migliore dello stesso. L’approfondimento su Black Noir è visivamente originale e divertente; Jensen Ackles nel ruolo di Soldatino buca lo schermo, rendendo irrilevante la scarsa profondità del personaggio. Anzi, la semplicità nella sua caratterizzazione veicola in maniera efficace la critica al suo modo di pensare, fin troppo presente in America e non solo (critica che si declina anche nel padre adottivo della figlia di LM).
Tirando le somme, la terza stagione di The Boys sorprende visivamente e nei colpi di scena, in alcuni sviluppi dei personaggi e nel ritmo complessivo, raggiungendo picchi che nulla hanno da invidiare alle altre stagioni. Ma non sorprende, perché rimane se stessa per la terza iterazione, perdendo la possibilità di giungere in nuovi territori inesplorati, che in parte questa serie ha contribuito a scoprire. Ciononostante, questa serie continua ad essere uno dei prodotti supereroistici migliori degli ultimi anni.