Closure/Continuation, i Porcupine Tree dopo tutti questi anni. E che anni! Questo è uno dei punti fondamentali per comprendere il ritorno della band dopo ben 12 anni. Non si è trattato di anni come altri o insignificanti. Sono stati anni vissuti con le sfumature della distopia, tra una politica che sarebbe apparsa irriconoscibile un decennio prima, per arrivare al COVID-19 e ora alla guerra.

E proprio ora tornano i Porcupine Tree, i cui testi son spesso stati intrisi di distopia (e Steven Wilson ammette candidamente che viviamo oggi in una distopia). Proprio loro che – in un modo o nell’altro – son sempre stati narratori del disagio (non solo di quello, ovviamente), evidenziando temi sociali importanti.
Rats Return parla proprio di politica e distopia: il disgusto non è neppure velato. Nel video e nel bridge prima della chiusura strumentale si citano dittatori asiatici e americani, il bianco e nero e i sottotitoli del video rimandano all’Unione Sovietica, ma quando Steven Wilson canta “thrill me you clown” sappiamo tutti a cosa pensare (e lui stesso lo ha spiegato che il riferimento ai ratti è ai politici, citando Trump, la Brexit e Boris Johnson).
Questa aperta presa di posizione è forse una delle vere novità del disco. Con toni simili, in Herd Culling si parla di armi, sicurezza e guerra.
I ratti ritornano pure in Walk the Plank, vera gemma psichedelica nella quale sembra di sentire il suono delle onde e dell’acqua che ci sommerge.

Proseguiamo. Nonostante gli anni non ci sono sorprese, la musica dei Porcupine Tree rimane la stessa. Potenti riff si contrappongono al canto mellifluo di Steven Wilson e a parti strumentali, come da tradizione progressive rock.
Closure/Continuation sembra un album crepuscolare, “autunnale” per colori, testi e suoni (evidente in Of the New Day, peraltro un brano di rinascita, come spiega lo stesso Steven Wilson, ma la decadenza è pure il tema di Chimera’s Wreck).
E così sembra suggerire anche l’artwork.

Non manca neppure l’amore, come pure negli album precedenti. A questo giro c’è un po’ di amaro in bocca, con l’amore stanco di Love in the Past Tense.
Anche i temi rimangono quelli del loro repertorio. Come spesso in passato, Never Have, Dignity e Harridan tornano ancora sul tema dell’esclusione, dei sogni infranti, del non ritrovare il proprio ruolo nel mondo. I protagonisti di questi brani non sono però dei perdenti tout court, ma mantengono forza, orgoglio e dignità che non ostentano necessariamente all’esterno.
Mi piace pensare che quando il mondo ci schiaccia con ingranaggi enormi e incomprensibili, è sempre possibile trovare almeno “silenziosamente” rifugio nella musica. I Porcupine Tree, in situazioni del genere, sarebbero un ottimo ascolto. You can only save yourself.
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Foto dall’Ufficio Stampa Parole & Dintorni