Obi-Wan Kenobi, la serie TV
Pochi franchise possono vantarsi di essere durevoli, multimediali, multigenerazionali e redditizi come Star Wars. Come è ovvio, i decenni portano ad una dispersione del fandom, una cui parte ha smesso di seguire le varie iterazioni di “guerre stellari”, per un motivo od un altro. Tale fandom però è capace di riunirsi per determinati eventi. È accaduto con Star Wars Episodio 7, ma non con Solo – A Star Wars Story. Il film su Obi-Wan Kenobi avrebbe potuto essere un nuovo evento, capace di far convergere l’intero fandom su di un unico prodotto. Una “Star Wars Story”, ambientata tra le due trilogie più amate, con il ritorno di Ewan McGregor e del (non a torto) criticato Hayden Christensen.
La sceneggiatura era stata scritta, per poi essere modificata per diventare una miniserie da sei episodi. Il perché il franchise di Star Wars si sia allontanato dalla sala, in favore del piccolo schermo e di Disney+, non è semplice e sulla legittimità delle motivazioni ci sarebbe molto da discutere (ma basti sapere che Solo è, in maniera poco sorprendente, parte integrante di queste cause). Il cambio di medium da cinema a serie TV è qualcosa di più complesso di quanto si pensi, ma non va comunque ad incidere sulle potenzialità narrative che il prodotto poteva avere.
Un’ulteriore e finale premessa prima di passare al sodo: per quanto possa cambiare medium (cinema, serie TV, fumetto, romanzo) o target o sottogenere (The Mandalorian, ad esempio, possiede un registro narrativo con palesi elementi western), Star Wars possiede comunque un certo modo di rapportarsi a scrittura e narrazione. Questo comprende anche certe tendenze in fase di scrittura connaturate al franchise stesso, a partire dall’utilizzo frequente delle retcon, per arrivare agli ormai leggendari stormtrooper incapaci di centrare il bersaglio, per arrivare a muri di fuoco aggirabili con un paio di passi (vero, terzo episodio?). Per questo motivo è sempre opportuno valutare un prodotto Star Wars al netto di questo background, per evitare di incappare in critiche decennali che il franchise non andrà probabilmente mai a risolvere, quantomeno sul versante audiovisivo.
Tenuto in conto ciò, alla serie va riconosciuto l’essere schifosamente brava a giocare con il fattore nostalgia, specialmente negli ultimi due episodi. Va riconosciuto ad Ewan McGregor di essere un grande attore e va riconosciuto al personaggio di Leia di essere non solo coerente con quello che diventerà in futuro, ma capace di scolpirsi nella memoria del fruitore con la sua maturità e sagacia, merito anche della fantastica Vivien Lyra Blair. Leia e Obi-Wan sono, per caratterizzazione una e sviluppo l’altro, dei pregi inattaccabili della serie; così come lo sono citazioni e collegamenti ad altri prodotti del franchise (guai a voi se non avete fruito delle serie animate), che la capacità talvolta di emozionare nei momenti cardine. Inoltre, la serie ricerca, a livello visivo, un linguaggio che si ponga in una via di mezzo tra Episodio III ed Episodio IV, arrivando a soluzioni come le spade laser molto luminose.
Ma si ferma “solo” a questo. Non è poco, e vi sarebbero altri pregi per i quali sarebbe necessario scendere negli abissi oscuri degli spoiler, ma non è comunque abbastanza per quel che Obi-Wan rappresenta per il fandom come personaggio e per ciò che il prodotto poteva, ma non ha voluto, essere.
Si parte proprio dalla scrittura: Il prodotto non ha voluto osare in nulla, rimanendo incollato a dei binari di narrazione ormai collaudati, sia in termini di “trama” pura e semplice che di struttura narrativa, adagiata su quello che ormai è il triste standard delle miniserie da sei episodi “made in Disney”. Ma se non osare non è un difetto, semmai una semplice caratteristica, lo è introdurre un nuovo personaggio, rendendolo fondamentale nella narrazione, ma caratterialmente piatto.
Trattasi di Reva: l’attrice ci mette del suo (e quand’anche non fosse, il trattamento razzista che ha ricevuto da certe fette di fandom risulta comunque vomitevole), ma il personaggio non funziona se non in brevissimi frangenti. Eppure, il suo potenziale era evidente sin dal primo episodio. Chiudendo sul fronte scrittura, certi snodi di trama, anche con il “filtro Star Wars” hanno comunque dei problemi, spesso capaci di rovinare momenti altresì epici (vero, terzo episodio?).
Menzione velocissima per la musica: riarrangiamenti ai limiti del fan-made, scelte musicali discutibili sia come tracce che come utilizzo (vero, terzo episodio?), ancora una volta capaci di appiattire dei climax altrimenti notevoli o di non generarne affatto, difetto che questo franchise non ha quasi mai avuto. Anzi, sarebbe folle negare che parte del successo di “Guerre Stellari” sia dovuto al suo main theme, alla marcia imperiale o a duel of the fates. Un vero peccato, considerando che il main theme della serie è memorabile ed azzeccato, a suo modo.
Se questi difetti sono i più evidenti anche per lo spettatore casuale, ve ne sono altri due altrettanto gravi in un prodotto audiovisivo: regia e montaggio. La scelta di affidare la regia di tutti gli episodi ad una sola persona è a priori apprezzata da chi scrive, ma avere dietro la macchina da presa della serie di Star Wars più attesa di sempre Deborah Chow non ha pagato. La regista aveva già diretto episodi di diverse serie TV, tra cui The Mandalorian, ma l’esperienza maturata non è stata sufficiente. Più di tutto soffrono le scene d’azione: inquadrature infelici, punti macchina improbabili, shaky cam fin troppo presenti, combinate ad un montaggio discontinuo nel ritmo contribuiscono a rendere l’azione confusionaria e poco godibile. Si trattasse solo di semplici schermaglie con stormtrooper si potrebbe sorvolare, ma non è ammissibile avere questi problemi in certi scontri (vero, terzo episodio? O anche tu, sesto).
Quel che causa amarezza nel complesso è proprio la sensazione di aver sprecato parte dell’enorme potenziale di Obi-Wan, nonché una voglia di vedere il film che avrebbe dovuto essere. In questo caso non vale nemmeno il discorso del prodotto rovinato dalla hype culture, poiché le aspettative erano sì alte, ma la serie fallisce in quello che è il cuore pulsante dell’intero franchise, piuttosto che essere un prodotto buono ma non ottimo.
Ritraendo le spade laser rosse di rabbia, Obi-Wan è una serie che ha sì più difetti che pregi, ma che rimane comunque godibile per un pubblico più casual o magari soltanto interessato a rivedere Obi-Wan su schermo, accompagnato da comprimari comunque interessanti, o davvero ben riusciti nel caso di Leia, in una serie che cerca di essere un raccordo tra Episodio III e IV, riuscendo in un certo qual modo nell’intento, uscendone come Anakin dopo lo scontro con il suo maestro su Mustafar.