Per chi non la conoscesse ancora, Serena Brancale è una voce soul e jazz apprezzata nel mondo, una musicista che può vantare grandissime collaborazioni, un’insegnante e una “uagnedd” di Bari, che si è fatta conoscere dal grande pubblico anche grazie alla televisione e a Sanremo. Serena Brancale è giunta così al suo terzo album, Je so accussì.
Il dialetto può esprimere meglio che in italiano certi concetti, e così pare per il titolo di questo album. Je so accussì da una parte può sottolineare un senso di libertà e di identità (prendetemi così, per quella che sono), dall’altra può indicare pure il raccontarsi (questa sono io).
Ed è in effetti proprio questo che ritroviamo nelle tracce di Je so accussì: Bari, la Puglia; il racconto di sé (“dimmi cosa c’è di strano, ascolto ancora Kind of Blue“); la colonna sonora della vita (Pino Daniele è il cantautore preferito di Serena Brancale); l’apertura all’Africa, all’America (“il cuore è di Bari, la mente è americana”), al mondo; il ritmo irresistibile della Motown in Pessime Intenzioni.
Un disco complesso, insomma, che potrebbe richiedere alcuni ascolti per essere pienamente apprezzato, ma che saprà non deludere già dai primi ascolti con brani immediati come i due singoli, la cover Je so pazzo e la già citata Pessime intenzioni.

Abbiamo intervistato Serena Brancale, che ringraziamo per aver risposto con grande immediatezza alle domande di XtraCult:
Cantare in dialetto barese. Cosa si prova? Cosa cambia?
Ho dovuto cambiare città per rendermi conto di quanto fosse cool il suono del mio dialetto.
Solo vivendo a Roma, da lontano ho sentito il bisogno di scrivere in barese, è un modo di scrivere che mi viene facile.
Più dell’italiano.
Grandissimi ospiti in questo disco: Richard Bona, Fabrizio Bosso, Ghemon, Margherita Vicario, Davide Shorty, Roshelle. C’è qualcosa che li accomuna?
Gli artisti non sono soltanto una cosa, non hanno solo una faccia.
Abbiamo l’esigenza infatti di confrontarci e giocare con la musica condividendo canzoni nella scrittura e nei live.
Amiamo tutti il rischio e metterci alla prova allontanandoci dalla nostra comfort zone.
Per cui dei miei ospiti accomuna il coraggio.
In questi anni, cosa può essere Rinascimento?
Il rinascimento per me e circondarmi di bellezza.
È vivere nelle piccole cose e ricercare la luce in tutto.
La musica e la scrittura aiutano in questo.
Per me il rinascimento è il ritorno all’essenziale.
Cosa pensa dell’ultima edizione del Festival di Sanremo? La sua carriera conta anche tappe importanti lì.
Sanremo è un’esperienza meravigliosa che ti insegna a vivere, l’ultima cosa è cantare.
Dovrebbero tutti provare una settimana impegnativa del genere, con mille interviste, cambi di umore, momenti di altissimo stress.
È stato un momento importante e felice.
Dalle dichiarazioni rilasciate traspare molto orgoglio per questo ultimo disco e per la propria terra, ma pure attrazione per ciò che è distante e diverso, ma che fa parte di un percorso. Come si contemperano questi due aspetti?
Sud è la parola del disco.
Non c’è momento in cui non mi senta del Sud.
Nei colori dei miei vestiti, nelle canzoni, in come muovo le mani.
Volevo omaggiare finalmente la mia terra in questo album allargandone i confini, in un solo abbraccio.
Che insegnante è Serena Brancale ?
Insegnante? Quale insegnante?
A parte gli scherzi, sono un’amica che si confronta con altre cantanti.
È il mio modus operandi più naturale, riesco ad entrare in sintonia subito.
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Foto dall’Ufficio Stampa Red & Blue Music Relations.