Seguendo la collaborazione in ambito teatrale, il duo composto da Petra Magoni e Ilaria Fantin torna a colpire, questa volta con un album, All of us (Fonè/Audiophile Productions), dal quale è stato estratto il singolo All of me.

Apprezzata dalla critica e più volte premiata, Petra Magoni calca le scene da alcuni decenni; in uno spazio musicale che è sempre più saturo di vocalità artefatte, poco originali o non in grado di impressionare positivamente, ascoltarla cantare è sempre un piacevole cambio di rotta rispetto alla routine. Qui la incontriamo in un prezioso duo assieme ad Ilaria Fantin, che – per chi non la conosca – si rivela una sorpresa nel riuscire ad esprimere con grande freschezza e modernità uno strumento come l’arciliuto.

All of us Petra Magoni Ilaria Fantin
La copertina del disco All of us, di Petra Magoni e Ilaria Fantin (Fonè/Audiophile Productions)

Difficile che non sovvenga l’idea di paragonare questo progetto ad uno degli altri progetti di Petra Magoni, Musicanuda, dove la cantante duetta invece col contrabbassista Ferruccio Spinetti; sarebbe un confronto senza dubbio positivo, viste le peculiarità che rendono le due esperienze completamente differenti.

Ma passiamo ai brani. Per un metallaro come me, particolarmente intrigante è risultata la versione di Smoke on the water, che trae la sua forza proprio dal grande contrasto del suonare un pezzo così emblematicamente rock con uno strumento così antico, ma senza perdere di carica e autenticità. Il singolo che – lo scopriremo – è alla base del nome al disco, All of me, viene accompagnato da un significativo video registrato presso la Gipsoteca di arte antica dell’Università di Pisa, ed è un rielaborazione originale e dal sapore antico. Restando nell’ambito del jazz, Feeling good mantiene tutta la sua forza soul, anche in un resa così originale.

Quel sapore antico lo ritroviamo e apprezziamo non solo in brani che lo implicherebbero automaticamente, come Fenesta vascia, ma persino in pezzi come Sympathy for the Devil, in Nothing compares 2 U o nella stessa Smoke on the water, come intarsi sonori che però si sposano con naturalezza alla natura rock di quei brani.

Già da questa breve introduzione si sarà potuto intuire come le tracce che compongono All of us di Petra Magoni e Ilaria Fantin siano state scelte con raffinatezza, con le loro differenze di generi e stili, ma riuscendo pure a costituire un insieme armoniosamente costruito. Tutto questo però resterebbe nell’ambito della tecnica, del gusto e della sperimentazione, ma ciò che risulta subito evidente è il grande impatto emotivo che Petra Magoni e Ilaria Fantin riusciranno a comunicare – a seconda delle sensibilità – con ciascuno di questi brani.

Una raffinatezza e una cura che risaltano ancor più se si pensa – come illustreranno Ilaria Fantin e Petra Magoni – alla presa praticamente live dell’album, che – se si eccettua la traccia di All of me – è stato registrato in un giorno.

Petra Magoni Ilaria Fantin
Ilaria Fantin e Petra Magoni

Il disco All of us (Fonè/Audiophile Productions), di Ilaria Fantin e Petra Magoni si può ascoltare sulle principali piattaforme di streamingo acquistare al seguente link: https://foneshop.it/it/super-audio-cd/387-all-of-us-petra-magoni-ilaria-fantin.html

Abbiamo intervistato Petra Magoni e Ilaria Fantin, che ringraziamo per aver risposto alle domande di XtraCult:

Come è nata l’idea di All of us?

Ilaria Fantin: con Petra ci siamo conosciute nel 2013, sono ormai parecchi anni che suoniamo insieme. Ci siamo conosciute a teatro, per uno spettacolo di Pippo Delbono, regista molto noto in Italia, che aveva bisogno di musicare il suo spettacolo. Lui scelse di chiamare Petra, poiché voleva qualcosa di originale. La fortuna che ho avuto è che Petra poi scegliesse di chiamare me, quindi di avere in scena un arciliuto, una chitarra elettrica e un liuto arabo (questo era un po’ il setup che avevo per quello spettacolo).

Da lì abbiamo fatto diversi concerti – oltre agli spettacoli con Pippo Delbono – e a un certo punto, semplicemente, ci siamo telefonate e ci siamo dette che dovevamo mettere “nero su bianco” questa collaborazione che altrimenti sarebbe rimasta solo in live, che come sappiamo non ci lasciano se non il ricordo. Abbiamo quindi chiamato lo studio di registrazione e dopo veramente poco tempo eravamo già in studio a registrare il disco e appunto a rendere indelebile la nostra collaborazione.

Petra Magoni: sì, con Ilaria avevamo una collaborazione, nata già da alcuni anni, ma avevamo cominciato a collaborare soprattutto a partire da questo spettacolo di Pippo Delbono che si chiamava il Sangue. Pippo mi aveva chiesto una mano per realizzare questo spettacolo in forma di concerto e ho pensato di coinvolgere Ilaria. Qualche anno prima lei mi aveva scritto per dirmi che le piaceva il mio lavoro con Ferruccio e che sapeva della mia passione per la musica antica (ho cominciato con la musica antica, il canto barocco, il canto rinascimentale).

Poi, qualche anno dopo essere state in giro in Italia (ma anche all’estero), alla fine di un concerto-spettacolo, abbiamo messo in piedi una cosa tutta nostra, che si chiamava Che cosa sono le nuvole?
Si trattava di uno spettacolo, un concerto con delle letture, riguardante tutte le possibili sfumature che le nuvole possono avere, sia in senso meteorologico che creativo.

Il significato più grande che hanno le nuvole è però proprio la mutevolezza, questo cambiamento continuo, con le suggestioni che questi cambiamenti continui ci danno, stupendoci. Guardiamo il cielo e vediamo delle forme, alle volte non ne troviamo una in tutto il cielo, alle volte invece non si vede neanche il sole…
Questo disco è nato proprio allo scopo di unire queste canzoni che avevamo precedentemente utilizzato, sia nello spettacolo con Pippo che in Che cosa sono le nuvole? In più, abbiamo aggiunto altre canzoni che semplicemente ci piacevano.

Lo abbiamo fatto un po’ per testimoniare questa collaborazione, per lasciare una traccia, un po’ come se fosse una fotografia. È quello che dico anche con Ferruccio: il disco rimane, il concerto o lo spettacolo è bello (anzi per me è più bello dal vivo), però il disco è la fotografia: rimane il ricordo, e te lo puoi riguardare. Similmente, il disco te lo puoi riascoltare e magari ricordare le suggestioni e le emozioni che hai provato al concerto: è una testimonianza.

All of us ha avuto anche una genesi un po’ travagliata, perché lo abbiamo registrato due anni fa, poi c’è stato il COVID-19 di mezzo e ci sono state non poche difficoltà. Insomma, è stato più difficile farlo uscire che realizzarlo. Basti pensare che l’abbiamo registrato in un giorno con due microfoni: non ci sono assolutamente tagli o cose particolarmente elaborate, solo un paio di sovraincisioni alla voce.
Qualcosa di molto immediato e spontaneo, insomma.

Petra Magoni e Ilaria Fantin, live a Brendola

Dal contrabbasso all’arciliuto. Cosa cambia?

Ilaria Fantin: L’operazione che abbiamo intrapreso insieme a Petra è molto vicina a quella che la stessa Petra svolge con Ferruccio, ovviamente; è proprio il motivo per cui le ho scritto in principio. La ascoltavo, ascoltavo i suoi dischi con Ferruccio, e oltre a piacermi terribilmente come suona Ferruccio il contrabbasso, trovavo lei molto vicina allo stile mio, a quello che suonavo in quel periodo: quindi la musica del Barocco, ma pure quella del Medioevo e del Rinascimento.
Petra è molto medievale: è una che toglie, che lascia spazio in quello che fa, ed è in grado di prendere un brano, di stravolgerlo e renderlo appunto semplice (nell’accezione più bella di questo termine). Il lavoro che lei fa con Ferruccio col contrabbasso è appunto Musicanuda, quindi di rendere nudo quello che sta suonando.

Col liuto facciamo sostanzialmente la stessa cosa, nel senso che io ovviamente ho più corde di Ferruccio, perché il mio arciliuto ha quattordici corde, ma è anche uno strumento che sì, mi dà tante libertà per fare molte cose, ma è comunque uno strumento del Seicento. Quindi gli arrangiamenti non saranno mai così pieni, da appunto rendere estremamente corposo un pezzo.
Tutto il lavoro che facciamo con Petra è sempre destrutturante, partiamo quindi da un brano che generalmente scegliamo insieme, e ci piace che non abbia nulla a che vedere col periodo storico del mio strumento. Anche in questo caso comunque lo denudiamo, come avviene con Musicanuda, ed è un’operazione molto bella perché vanno in primo piano alcune cose che altrimenti si perderebbero, come ad esempio il testo, il significato, o anche una linea melodica.
Tante volte prendiamo dei brani stupendi, magari degli anni ’80, ’90, che hanno arrangiamenti talmente pieni che ci rendiamo conto che in realtà non avevamo mai ascoltato bene il testo prima. Ti ritrovi lì a suonarlo in modo semplice e raccolto e tutto diventa intimo, ed è come scoprire un pezzo la prima volta, ed è molto bello.
Certe volte capitano proprio delle magie nel trasformare questi brani.

Petra Magoni: intanto a me piace molto la dimensione del duo, perché è un dialogo. Difatti ho anche un duo con Finaz, chitarrista della Bandabardò: è un progetto che si chiama Equilibrismi e col quale abbiamo cominciato musicando delle poesie futuriste per poi scrivere anche pezzi nostri. Poi con Andrea Dindo, pianista classico, proprio ieri sera (12 dicembre, n.d.r.) eravamo con lui a Foggia per un concerto che parte dalla figura di Kurt Weill e dalla sua storia straordinaria (ha dovuto fuggire dalla Germania nazista a causa delle sue origini ebraiche, ed è poi divenuto autore di grandi musical e standard di jazz). Questo concerto parte da Kurt Weill per poi arrivare a George Gerschwin e a Cole Porter.
Tornando al duo, è una dimensione che mi piace molto, trovo anche che il mio modo di cantare cambi a seconda della formazione, come in un dialogo: se parlo con te dico delle cose, le dico in un certo modo, se parlo con qualcun altro le dico in un altro modo, no?

Più in generale, ho notato che a seconda dello strumento col quale dialogo, cambio leggermente degli armonici nella voce, tendo cioè a cercare degli armonici che si avvicinino, che si mescolino, che si fondano con quelli dello strumento con cui sto dialogando. Questo l’ho scoperto anche grazie a tutte queste collaborazioni, perché dopo tanti anni di Musicanuda avevo capito che cercavo la fusione con Ferruccio, perché per esempio a volte in studio – soprattutto per le cose molto piccole – non riuscivamo a suonare separatamente, in due stanze diverse. C’era proprio bisogno dell’unione anche fisica, di sentire la fisicità dello strumento, intesa come fisicità del suono.

Da lì ho cominciato a ragionare molto su questo e mi sono accorta che c’era questo cambiamento quando dialogavo con strumenti dal suono diverso, al di là ovviamente dell’interplay, del fatto di suonare insieme, di avere un senso del ritmo (ognuno di noi ce l’ha diverso). Con Ferruccio per esempio siamo ovviamente in quello molto molto simili da subito, con Ilaria ci abbiamo messo un poco, a seconda della persona con la quale suoni è sempre diverso.

Mi piace pure suonare in gruppi più grandi, ho fatto tante cose con l’Orchestra di Piazza Vittorio, adesso c’è questo progetto con Paolo Fresu, riguardante David Bowie e che coinvolge grandi jazzisti italiani (come Gianuca Petrella, Francesco Diodati, Christian Meyer), però ecco, lì è un’altra cosa. Lì gioco a fare la rockstar, è un lavoro di gruppo che mi piace davvero moltissimo, ma non so, se ci rifletto mi rendo conto che ho proprio una propensione per il duo.

In che senso All of us può considerarsi un disco-racconto? C’è un fil rouge che unisce i brani?

Ilaria Fantin: L’abbiamo chiamato disco-racconto un po’ come chiamiamo concerto-racconto il nostro spettacolo Che cosa sono le nuvole?
Che cosa sono le nuvole? è un concerto-spettacolo appunto che abbiamo portato in giro anche questa estate (abbiamo avuto due repliche bellissime ad agosto), che raccoglie i brani che comunque sono all’interno del nostro album. Si tratta di un concerto-spettacolo perché c’è un tema principale che è quello appunto delle nuvole, che prende il nome dalla canzone di Domenico Modugno con testo di Pierpaolo Pasolini, Cosa sono le nuvole.

Ed è un disco che parla a tutti perché parla delle emozioni, delle emozioni di passaggio e di tutti quegli stati d’animo che comunque ci accomunano.

Noi abbiamo inserito nel disco All of me, e per certi versi è un po’ una traccia fantasma, che non ha niente a che fare col resto del disco. L’abbiamo registrata proprio in un’altra sessione, eravamo a Londra parecchi anni fa ed è venuta dal nulla. Io e Petra stavamo l’una di fronte all’altra e Petra mi ha detto: “ma perché non proviamo a fare All of me“? E ha cominciato a cantarla all’ottava alta, e poi subito le è venuta l’illuminazione di farla all’ottava sotto e ha stravolto completamente il pezzo – come appunto lei fa – perché sì, Petra spesso fa cover, ma vengono talmente stravolte che rinascono.
Abbiamo registrato molti altri brani in quel periodo a Londra ma abbiamo inserito solo questo perché ci è piaciuto molto proprio il fatto di stravolgere il testo del pezzo, perché il testo è un testo triste, ma si tratta di un brano che viene spesso cantato in modo giocoso e allegro.
Abbiamo quindi creato questa versione totalmente nuova e abbiamo pensato: “il disco potremmo chiamarlo All of me, perché comunque è un brano che ci lega a un passato insieme”.
Poi ci siam dette: “perché All of me? Dovrebbe essere All of us, alla fine è un qualcosa che stiamo facendo, che vorremmo arrivasse a più persone possibile, e che parla davvero di cose che capitano a tutti”.

Petra Magoni: penso che il fil rouge che unisce i brani sia soprattutto la storia, l’incontro musicale tra me e Ilaria. In questo disco sono raccolte le canzoni che abbiamo suonato in questi anni e che quindi raccontano – come nel titolo – tutto di noi. E ovviamente non è tutto, perché vorremmo fare tante altre cose in futuro, però tutto di noi fino a qui, e quindi – come dicevo prima – essere una fotografia della nostra collaborazione fino ad adesso.

Per quanto riguarda All of me, ho fatto quello che faccio sempre – anche con Ferruccio – e cioè raccontare la storia che c’è dentro una canzone. A volte mi piace anche usare la voce in modo tecnicamente sbagliato se serve a sottolineare quella storia, quella frase, quel sentimento.

E mi sono accorta che All of me, quando la stavamo registrando, la suonavamo come si suona di solito, un po’ swing. La cantavo all’ottava sopra. Poi ci siamo confrontate e ho detto: “però leggiamo bene il testo, qui dice prenditi tutto di me, prenditi le mie labbra, prenditi le mie braccia, fammi a pezzi in pratica, no?”
Quindi abbiamo provato a trovare un’altra chiave e abbiamo provato a farla lenta (così com’è registrata), ma nel momento in cui stavo attaccando, avevo preso il respiro per attaccare – all’ottava alta – ho pensato a Tom Waits, immaginando che cantasse quella canzone.
Quindi, mentre prendevo il respiro ho attaccato all’ottava sotto, con quella voce un po’ strascicata. Ilaria non lo sapeva assolutamente, ma siamo andate avanti, e la versione che c’è sul disco è l’unica che abbiamo registrato con quell’intenzione lì.

Ci sono dei piccoli miracoli nella musica, per esempio a un certo punto abbiamo suonato un passaggio insieme che non era assolutamente previsto, ma quel momento lì ha portato entrambe a farla contemporaneamente. Se qualcosa del genere avviene è proprio perché c’è una grande intesa, una grande sintonia, un grande ascolto. Perché la musica è fondamentale ascoltarla ma anche ascoltarsi, ascoltare gli altri che la stanno facendo con te. Per un dialogo cioè non ci può essere il dialogo senza ascolto, anche nel parlarsi, no?

Per quanto riguarda invece il video di All of me, proprio per quanto ti dicevo mi è venuta questa idea del farmi a pezzi, e quindi le statue che spesso sono mutilate, senza braccia, senza naso o senza testa. Abbiamo quindi pensato di girarlo alla Gipsoteca di Pisa, in mezzo a tutte queste statue, ma tranquilli, la statua che facciamo a pezzi l’ha realizzata una mia amica, Paola Togneri. Non potevamo prendere a martellate le statue della Gipsoteca. [ride]

 

Che caratteristiche può avere un brano per attirare la vostra attenzione?

Ilaria Fantin: una cosa che non ho mai capito del Conservatorio come struttura ma anche di molti dei miei colleghi, nei miei quindici anni di studi, è proprio il fatto di chiudersi nel repertorio: c’è chi dice che muore Bach e muore la musica, c’è chi addirittura non ascolta nulla dopo il Medioevo, e mi sembra qualcosa di assurdo.
Poi, quando ci si trova a fare i concerti con i ragazzi del Conservatorio capita spesso il momento in cui non si sta suonando il Vivaldi di turno e qualcuno suona il riff dei Deep Purple di Smoke on the Water, che è l’unico che molti conoscono della storia della musica che va al di là della musica classica. E a loro fa ridere, ma non c’è niente da ridere. Questa parte non viene pubblicata, vero? [ride]

Ascoltare tanta musica, di tutti i generi, permette appunto di realizzare una bella cover, nel senso che secondo me quando poi si sceglie un brano e lo si trasforma, più si è ascoltato nella propria vita, più è possibile attingere a diverse sensibilità di gusto estetico, più possibilità diverse hai a disposizione, più possono nascerti cose speciali dentro.

Che deve avere un brano quando lo ascolto io? Non lo so, è una domanda difficile. Forse ho un ascolto un po’ “malato”, perché quando ascolto le cose più moderne, mi piace molto pensare subito anche alla possibilità di rivisitarle sul mio strumento. Ed è una cosa di grande valore per me.

Per il resto, di primo acchitto direi che un brano per attirarmi deve possedere sincerità, quella che ha anche Petra ad esempio. Petra ha una sincerità pazzesca: quando è sul palco è Petra Magoni, quella stessa che è nella vita, e dà tantissimo. L’ho vista fare dei live veramente incredibili. Spesso invece si vede tutto fatto a tavolino e quelli sono proprio i momenti in cui non mi viene voglia di ascoltare. Sono questi i primi e più importanti elementi che mi vengono in mente: la spontaneità e la sincerità.

Petra Magoni: anche per me – questo ovviamente vale anche con Ferruccio – un brano mi può piacere per tanti versi: perché mi piace il testo, perché mi piace la musica. E se la musica ha un testo brutto uhm non saprei: son sempre due cose che devono andare insieme per forza. Un brano mi può semplicemente divertire, come può essere il caso di Tuca Tuca, che suoniamo con Ferruccio.
Dopo un primo sguardo oltre le apparenze, alcune canzoni si rivelano anche molto complesse, come è il caso – sempre con Ferruccio – di Sei forte papà, un brano che è in realtà molto emozionante per quelli della nostra generazione. Tutti avevamo il 45 giri, ed è anche molto complesso tecnicamente: Ferruccio dice che è un pezzo in realtà difficilissimo da suonare.
Per piacermi, insomma, un brano mi deve emozionare, mi deve divertire e devo soprattutto saperlo raccontare, deve essere quindi un argomento che mi arriva e che magari ho vissuto, che so interpretare, per me è fondamentale.

All of us Petra Magoni Ilaria Fantin
All of me: Petra Magoni e Ilaria Fantin

Come si può parlare di tutti noi?

Ilaria Fantin: torno un po’ al discorso delle emozioni di passaggio, nel senso che non penso sia possibile parlare a tutti indistintamente. A parole è bello dire che siamo tutti uguali ma non penso sia così. E quindi l’unico modo per arrivare alle corde di tutti è quello di parlare di quelle che sono le emozioni che tutti viviamo. Ed è quello che poi fa la musica, dal Medioevo fino ad oggi. E quindi i temi classici (l’amore, la lontananza, il distacco, il tradimento), tutte quelle cose che nel ciclo vitale succedono grosso modo a tutti.

Effettivamente, all’interno di questo album, questo tema torna molto e molto torna anche il tema della mutevolezza, perché noi esseri umani siamo in continuo cambiamento. Questo mi piace molto, perché lo vivo anche quando sto con Petra, nel senso che questo fatto di prendere la vita pienamente e veramente ti porta poi a continuare a cambiare, a prendere delle scelte, a perdere, a ricevere.

Ed è un disco per tutti, anche inevitabilmente a partire dalla scelta dell’organico, quindi dell’arciliuto più voce, per il fatto di proporre dei brani che magari in una versione più rock non ascolterebbero tutti, ma che in questa versione sono possibili per l’orecchio di tutti. Ci sono anche tanti generi diversi e c’è molto cantautorato, c’è Scialpi, c’è Fabrizio De André, Fenesta Vascia (che comunque è un brano “cantautorale”), ma ci sono anche il rock e il jazz. Ce n’è per tutti i gusti insomma, con arrangiamenti che sono anche molto orecchiabili.

Petra Magoni: tornando al titolo dell’album, All of us siamo sempre io e Ilaria, ma riallacciandomi a quello che ti dicevo prima, se interpreto una canzone, so quello che sto dicendo e come lo voglio dire. Può essere un modo di arrivare non ti dico a tutti, ma insomma a buona parte delle persone.

Grazie alla dimensione del duo, poi, ed è uno dei feedback che ho ricevuto spesso, con Ferruccio, dopo i concerti, è che dal pubblico per la prima volta comprendono veramente il significato di una canzone. Spesso con troppi arrangiamenti, con troppi strumenti, le parole un po’ si perdono, Musicanuda ha in effetti anche questo senso qui. Con Ilaria ci sono ovviamente delle analogie e anche delle differenze, soprattutto di suono, che mi piacciono molto.

Ilaria Fantin e Petra Magoni

Emozioni di passaggio, come nuvole. Come mai avete sottolineato questo punto?

Ilaria Fantin: Cosa sono le nuvole è un brano di Domenico Modugno (su testo di Pasolini, della cui nascita ricorre il centenario il 5 marzo di quest’anno) che ci piace tantissimo. Ci piace tanto e ci ha fatto pensare subito alle nuvole e a questo viaggio.

La parte bella del lavoro che facciamo è proprio che è come nuvole; suoniamo questi concerti e alle undici di sera, tutto quello che abbiamo progettato per tante tante ore svanisce. E però questa natura effimera del fare musica è anche un modo di vivere che poi abbiamo spesso noi musicisti (come tanta altra gente) che è molto bello, e al quale – a me e a Petra – piace dare valore. Adesso soprattuto che tutto è eterno, non si bada tanto appunto ai cambiamenti.

Ci piaceva l’idea di fare un disco che parlasse proprio della mutevolezza, e ad esempio abbiamo inserito dei brani che parlano della rinascita, del vivere qualcosa intensamente, qualcosa che poi magari scoppia e si deve ripartire da zero. Anche il brano di Scialpi, Cigarettes and coffee, parla di un’avventura, di cosa rimane dopo averla vissuta.

Petra Magoni: alla base c’è innanzitutto questo spettacolo Che cosa sono le nuvole? Lì c’erano canzoni che hanno le nuvole come argomento o comunque sono citate. Come quella di Modugno e Pasolini, ma pure quella di Joni Mitchell, Both Sides Now.
Inoltre, c’erano queste letture che trattavano l’argomento nuvole da tutti i punti di vista: quindi quello meteorologico, quello divinatorio, quello mitologico, ecc. E quindi, le nuvole potevano essere interpretate come presagi o stimolare la creatività, quella del vedere le forme delle nuvole, che ci riporta ad essere un po’ bambini. Le nuvole sono citate spesso nelle poesie, ecc.
E possono far piovere quando la pioggia è provvidenziale, o anche quando invece la pioggia è un problema.

Così è la mutevolezza, le cose che cambiano e che non sono mai uguali, e la stessa cosa può essere un bene e anche un male. Come nel brano di Joni Mitchell, le nuvole se le vedi dal basso appaiono in un modo, ma se le vedi dall’alto appaiono in un altro. Sono tantissime le suggestioni che possono derivare dal guardare, dal pensare alle nuvole.

 

 

Siti ufficiali:

http://www.petramagoni.com/

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Video e foto dall’Ufficio Stampa Red & Blue.

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