TOKYO REVENGERS, UN VIAGGIO NEL GIAPPONE DEI PRIMI ANNI 2000 TRA BABY GANG, VIAGGI NEL TEMPO E LOVE STORY

Tokyo Revengers
Tokyo Revengers, arrivato in Italia grazie a J-POP. Foto di Giuseppe Inella

Spesso e volentieri gli anime tendono a veicolare le vendite dei manga dai quali sono tratti, infatti se la trasposizione animata è ben fatta, la curiosità spinge il lettore a voler andare oltre il ritmo dell’adattamento, cosicché la maggior parte degli spettatori inizia a virare sui tankōbon1, spingendo le vendite anche grazie alla popolarità e alla bellezza della trasposizione.

Ecco, questo è quello che è successo con me circa un mese fa, quando ho iniziato a leggere Tokyo Revengers, e non solo con me: questo manga infatti ha visto realizzarsi un effetto del genere su larga scala. L’azienda Oricon Rankings ha comunicato i dati di vendita stimati dei vari manga e tra i titoli più in voga del momento figura senza dubbio anche Tokyo Revengers, ormai in trend positivo da svariati mesi.

Da fine novembre 2020 Tokyo Revengers ha venduto ben 16,5 milioni di copie nell’anno fiscale 2021, una cifra che però non deve farci sgranare gli occhi. Infatti, il manga di Ken Wakui sin da subito ha visto 7 milioni di copie stampate a breve giro. Richiestissimo anche nel bel paese, fin dal suo debutto, conosciuto ormai da chiunque anche per via dell’anime disponibile su Crunchyroll, è arrivato grazie a J-POP, permettendo al pubblico italiano di apprezzare Ken Wakui, autore che ha debuttato nel 2004 ed esperto nel ritrarre gli aspetti più particolari della società giapponese.

Tokyo Revengers è un manga shonen suggestivo e di grande suspense che tocca diversi generi spaziando dalla tematica “gangster” a quella del manga di fantascienza, passando per temi di natura sentimentale. Una storia di baby gang e di adolescenza, di scazzottate e vendette, ma anche di onore e codici non scritti, di emarginazione sociale e disagio, di viaggi nel tempo e crescita personale.

Il giovane Takemichi Hanagaki è un ragazzo di 26 anni senza scopi nella vita che ha da poco scoperto dal notiziario in TV della morte della sua ex fidanzata dei tempi delle medie, Hinata Tachibana, l’unica ragazza che lo abbia realmente amato per come fosse realmente. Hinata, trovatasi nel posto sbagliato al momento sbagliato, è infatti rimasta coinvolta in uno scontro tra bande, in particolare la responsabile è la Tokyo Manji Gang, che Takemichi conosce molto bene avendola vista nascere anni prima.

Proprio mentre rimugina sul suo disastroso passato e cerca di assimilare la tragica notizia ricevuta, Takemichi viene spinto sulle rotaie della metropolitana e poco prima di essere travolto da un treno si ritrova catapultato indietro nel tempo di 12 anni. Cercando di comprendere cosa realmente sia accaduto trova un amico leale in Naoto Tachibana, fratello di Hinata, l’unico a conoscere il suo segreto. Takemichi, quindi, tra mille peripezie e difficoltà, dovrà fare di tutto per cercare di fermare l’avanzare della Tokyo Manji Gang per poter salvare la ragazza da lui amata, Hinata.

Tokyo Revengers
Tokyo Revengers, arrivato in Italia grazie a J-POP. Foto di Giuseppe Inella

Un’opera sorprendente sin dal primo impatto visivo, dove ad attirare l’attenzione sono le gang giovanili che parrebbero ricondurre ad un manga condito esclusivamente di scazzottate, violenza e molta azione.
Tokyo Revengers
però è molto di più di questo, bastano poche pagine per innamorarsene, così come ne bastano altrettante per comprenderne il potenziale illimitato. Ken Wakui costruisce una storia dalla grande longevità con un insieme di personaggi che conosceremo sin dal primo volume, molto carismatici, magnetici e importanti al fine dello sviluppo dell’opera stessa.

Parlando di Tokyo Revengers, però non ho potuto fare a meno di riflettere sul significato del termine giapponese ijime, che viene tradotto in italiano con, “bullismo”. La cosa che sconvolge maggiormente è come spesso, nelle scuole, gli atti di ijime vengano purtroppo tollerati. Questo tipo di discriminazioni, spesso e volentieri, avvengono alla luce del sole, sotto gli occhi degli insegnanti, che si limitano ad ignorarli, talvolta giustificandoli. La diversità, infatti, nella società giapponese, e non solo nell’ambiente scolastico, sembra non essere in alcun modo ammessa, sia a livello comportamentale che a livello estetico.

È significativo, in questo senso, che sin dalla più tenera età fino all’ingresso nel mondo del lavoro, ai giapponesi sia sempre imposto un rigoroso codice per il vestiario; che sia vietato l’ingresso nelle scuole a tutte quelle persone che mostrino tatuaggi o anche, più banalmente, che si tingano i capelli di un colore diverso da quello naturale.
Queste imposizioni non sfociano sempre in fenomeni di isolamento o autolesionismo da parte degli adolescenti ma spesso istigano i ragazzi a ribellarsi, come vediamo infatti in Tokyo Revengers. Takemichi ha la classica acconciatura regent da teppista biondo ossigenato; Mikey ha i capelli lunghi e biondi; Draken ha una sorta di taglio alla mohicana, accompagnato da una lunga treccia bionda con un tatuaggio sulla tempia; Mitsuya porta i capelli viola. Insomma i membri di spessore della Tokyo Manji Gang non hanno voluto uniformarsi alle  imposizioni del sistema scolastico giapponese e così facendo sono diventati dei reietti, dei teppisti. Sicuramente non ha aiutato che questi ragazzi abbiano in comune situazioni familiari particolarmente difficili, con la scuola che ancor di più se ne lava le mani, perché in una società in cui l’identità comunitaria è preziosissima, la conformità a determinati canoni è un valore imprescindibile.
Per questo, l’allontanamento di chiunque non corrisponda alla “norma” viene talvolta considerato fisiologico alle dinamiche di gruppo e quasi “educativo”. Secondo la concezione locale, questa “terapia d’urto” dovrebbe portare a una crescita psicologica dell’individuo, che imparerà a riconoscersi nella società che lo circonda, senza manifestare atteggiamenti che possano in alcun modo deviare da quello che si percepisce come normale e giusto. Un famoso proverbio giapponese dice infatti che “il chiodo che sporge deve essere martellato”.

Ed è proprio la scuola la grande assente di questo manga: quando l’istituzione scolastica viene meno, non ci sono quei fenomeni di ascesa e di rivalsa sociale come nell’opera del maestro Inoue, Slam Dunk, dove un gruppo di ragazzi destinati per lo più ad intraprendere un destino oscuro vengono letteralmente salvati dallo sport promosso dalla propria istituzione scolastica oppure come in GTO di Tōru Fujisawa, in cui il protagonista con un trascorso adolescenziale particolarmente difficile – facente parte di una gang di teppisti in moto, assai radicati in Giappone negli anni 70/80 – decide alla fine del suo percorso di studi di diventare un insegnante e si troverà ad avere a che fare con figli di genitori assenti, più impegnati a compiere il proprio mestiere che a crescere i propri figli, servi di una morale lavorativa opprimente e nichilista. In GTO l’esperienza di Onizuka, teppista forte ma dal cuore tenero, servirà a far superare ai suoi alunni molti problemi tipici dei giovani giapponesi. L’abbandono, il suicidio, il bullismo, sono solo alcuni dei problemi quotidiani contro cui deve combattere il professore per salvare una classe (che rappresenta l’intera gioventù giapponese) dal declino.

Come ho detto più volte nei precedenti articoli circa la definizione di shōnen e dei target narrativi dei manga, gli shōnen sono pensati per un pubblico decisamente giovane, ma questo manga tocca corde atipiche per il target; Ken Wakui ha estrema cura dei dettagli e i dialoghi, resi magistralmente in italiano da Loris Usai, non possono che attrarre il lettore, il quale si ritrova coinvolto da atmosfere ricche di adrenalina, pathos e voglia di risposte agli innumerevoli punti interrogativi.
Tutto questo viene poi mescolato a elementi drammatici ma anche di natura sentimentale, per cui Takemichi sarà costretto a divincolarsi, maturando in fretta, cercando di sconvolgere la sua stessa vita, trasformandosi.

Le tavole di Ken Wakui fanno da cornice a questa elaborata opera, grazie a uno stile che riesce a trasmettere tutte le emozioni dei protagonisti, con un buon uso delle linee cinetiche e una buona rappresentazione dei paesaggi urbani e periferici dove la storia prende vita.

È normale per noi lettori sentirci rapiti da una storia che apprezziamo, immedesimarci nei protagonisti, specialmente se come me si è amanti delle moto, tuffarci nella storia e chiedersi cosa avremmo fatto noi. Chi non vorrebbe tornare indietro nel tempo per cambiare un qualche avvenimento della propria vita? E se nel farlo potete salvare anche il grande amore della vostra vita da morte certa, magari i dubbi diventano certezze ed è presto compreso il motivo di questo incredibile successo. Takemichi non è l’invincibile Mikey, non ha la straripante forza bruta di Draken; non è un vero eroe, ha troppi difetti per esserlo. Ha subito fin troppe sconfitte per rientrare in quella definizione così avvolta di luce, ma in un qualche modo riesce a farsi amare proprio per questa sua mancanza, quella consapevolezza di non essere un eroe ma voler riuscire tutti i costi ad esserlo.

Scheda tecnica

Autore: Ken Wakui
Pagine: 192
Dimensioni: 12.5x18cm – copertina flessibile con sovracoperta
Codice ISBN: 9788834915431

1 Tankōbon è un termine giapponese che indica un particolare formato di pubblicazione cartacea, di solito di circa duecento pagine. Utilizzato soprattutto nell’industria dei manga, in questo ambito indica semplicemente un volume di una serie

 

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